“Eros”, De Luca presenta nella sua isola il suo ultimo libro

Presentata a Ponza, presso l’hotel “Santa Domitilla”, l’ultima fatica letteraria dello scrittore ponzese Antonio De Luca, “Eros”, un tributo alla Grecia antica e alla cultura mediterranea.

“Io vengo dalle rive di Omero, dalle rive dell’antica Grecia, dalle rotte degli dei, da dove tutto cominciò. Quel mondo che ha inventato la nostra storia. Queste terre ne hanno dato il pensiero, l’anima e un cuore. E soprattutto il Mito”, ha esordito De Luca.

Poi un cenno autobiografico, in cui è sintetizzato tutto il lavoro dello scrittore isolano: “Sono uno che vive per le rive mediterranee e che volge le spalle a questa civiltà. Scrivo le mie storie per vivere cercando di essere un uomo, per dare una ragione a questa vita. Non faccio programmi di scrittura, in quanto è già abbastanza difficile essere uomo in un tempo come il nostro. Un tempo in cui non mi sento più a mio agio. L’istinto, il demone della poesia, mi è salvifico per ora”.

“Scrivi così come vivi, mi disse Eduard Limonov. E scrivo anche come amo – ha aggiunto De Luca – pensando al poeta russo Andrej Voznesenskij. Mi sento un uomo perennemente in rivolta. La rivolta metafisica ed esistenziale di Albert Camus. E molto ho sempre amato: il Mediterraneo, il Mediterraneo e le sue donne, la sua cultura, la sua origine, i suoi popoli, le sue isole, la vita, il mare in ogni sua espressione, il dialogo costante tra le terre e le sue genti”.
Di più: “Come scrisse il poeta greco Odysseas Elytis per me il mare e le onde parlano greco. A Ponza ho cercato di recuperare l ‘uomo antico. Ho portato le Muse.e gli dei. Il tempo remoto. Come “l’ uomo antico” sono anche i nostri antenati isolani, che con poca conoscenza, ma molta follia e spirito di avventura, spirito omerico, spirito da argonauti, hanno viaggiato a vela da Ponza e colonizzato terre e isole intorno al Mediterraneo. Io amo le isole di tutto il mondo”.

Non poteva mancare un cenno alla sua formazione: “In filosofia mio padre è Epicuro che mi ha insegnato ad essere felice. Aristotele dice che la felicità è lo scopo della vita. Mi hanno educato alla solitudine e a condividere. A vivere nascostamente e a stare con gli altri. I miei compagni di strada sono i poeti di tutto il mondo. Non mi sento di avere un futuro, non posso avere un futuro, dove l’uomo è assente. Il futuro è il mio passato. Mi sento un inattuale direbbe Carmelo Bene. L’inattualità è la mia estetica. La condizione di vita.
La nostra storia nasce con Omero, 2800 anni fa circa, ma è partita da molto lontano, dalle steppe asiatiche e balcaniche. Omero è il grande capo, lui dice tutto, dice quanto ci serve.
Tutto ciò che Omero dice si svolge in isole e tra isole, dove le donne e gli dei danno il corso alla storia, e gli eroi, sono uomini soli ai loro piedi”.

Un intervento che è un tributo all’insularità. “Le isole sono iniziazione – ha detto – l’isola è principio di libertà, di bellezza, di virtù, di amore e di purezza. Le isole sono luoghi aperti ma nello stesso tempo chiusi, possono imprigionare ma poi anche liberare, lasciare andare.
Sopra un’isola non è netto il confine tra realtà e immaginario. Si può scomparire per poi riapparire. L’isola attraverso la letteratura omerica, concepisce l’idea del meraviglioso, fa condividere la volta celeste. La mia ricerca poetica nasce nella Grecia antica e sulle sponde di Napoli dove vissi. La sirena Partenope mi rapì. Costruivo un mondo per me, con il mio ordine, il mio bisogno di capire e di conoscere. Le mie radici nomadi, nate dalle storie di tre uomini di mare. I miei nonni e mio padre. E poi le illusioni, la bellezza, l’amore, le emozioni, la pietà. Iniziavo già allora a sentirmi fuori posto, un estraneo”.
I ricordi di gioventù: “Ricordo la prima volta che andai al Museo archeologico di Napoli e poi a Ercolano e Pompei. Decisi allora che avrei voluto vivere tra statue e resti archeologici di un glorioso passato. Ebbi il desiderio che la mia casa fosse una biblioteca, un teatro, una strada per concepire pensiero e bellezza, una sala di un museo con statue di marmo bianco, la materia eterna. Quelle statue continuano a parlarmi. Probabile che la Venere Callipigia al Museo archeologico di Napoli, fu il mio primo amore. Questo dialogo si è fatto esistenza. Una casa che contenesse tutte le isole del mondo, perché ogni isola è un mondo.

Io penso e scrivo spesso secondo una logica e un istinto, che si rifà alla lingua dell’antica Grecia e alla lingua di Virgilio, dove il verbo e la parola vivono e rispecchiano il pensiero e la ragione del sentire dell’anima, della mente, e del cuore. Parole libere in continuo mutamento ed evoluzione a cui dare il senso ultimo del mondo. Un mondo dove l’uomo cerca di vivere in armonia con la natura e con i suoi simili, e gode delle arti e della bellezza, che non è solo estetica, ma anche giustizia, pace, serenità.
Quello di De Luca è un inno all’antica Grecia. “La bellezza per i greci – ha affermato – è una virtù. L’uomo greco era un uomo libero e si chiedeva il come delle cose, oggi l’uomo dalla sua prigione, si chiede il quando delle cose. E il come e il quando hanno fini diversi, uno libera l’altro incatena. La ragione greca riflette e permette di agire sull’uomo, non di trasformare la natura. I greci sono presenti a Ponza già dall’800 a. C. Arrivano gli Eubei, da Pithecusa, la Ischia attuale. Abbiamo qui i resti di due cimiteri. Sappiamo che i morti non finiscono mai di parlarci, e non ci lasciano mai da soli. I morti ci danno forza quando i vivi sono incapaci. I morti ci parlano di coscienza individuale, di giustizia, di solidarietà, di giusta misura, condannano la tracotanza orgogliosa dell’uomo che lo porta a disobbedire le leggi umane e divine. Motivo di ogni guerra e dissoluzione sociale. Lo stesso nome Ponza è greco, viene da pontos che vuol dire mare. L’isola che nasce dal mare, pensavano i greci.

E non può esserci parto più divino e più bello di questo sorgere dagli abissi, dall’ignoto.
In alcuni uomini del mondo contadino, fino a qualche anno fa a Ponza, si sono tramandate gesta risalenti al Simposio di Platone. Così come ad Ischia ancora tutt’ora, esistono contadini con gesta e parole greche. L’isola diviene così simbolo di esistere”.
E poi Ponza, sempre al centro del lavoro di De Luca: “A Ponza sono passati tra gli altri lo scrittore Alberto Moravia, il regista Federico Fellini, la scultrice Ursula Querner, il pittore Mario Tarchetti, e il presidente Sandro Pertini. Questi artisti a cui sono particolarmente legato, danno a Ponza storia e identità più di ogni altra cosa. Ci lasciano un’isola che è materia-roccia-mare, corpo pensante di una Grecia omerica. Aristotelica e platonica.
Anche il mio ultimo libro Eros, come Adespota e Navigare la rotta, è un inno alla grecità, al viaggio, al Mediterraneo. Il mio essere un poeta greco antico. E Ponza, si fa l’Itaca del poeta Costantino Kavafis, che porto nel viaggio-esistenza. Perché le isole sono anche qualcosa che galleggiano, come disse lo scrittore José Saramago. Portano materia al nostro immaginario, viaggiano, ci portano fuori dalla caverna, dal buio, e diventano Utopia, spazi irreali, spazi sognanti, ma anche reali. Materia di vita. Simbolo di libertà. Le isole sono il corpo di cui mi sento essere fatto. Come per Fernando Pessoa fu Lisbona. E Tangeri per Paul Bowels. Il sangue che porto. L’aria che respiro. La strada che cammino. Il Fato”.

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Tributo alla Grecia antica

Per me tu sei il moderno uomo kantiano..
“Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”
Assessore alla cultura
Dott. Giuseppina Aversano

Dal Prof. Carmine Catenacci
Università Gabriele D’Annunzio
Chieti Pescara

Caro Antonio tu sei un poeta greco, greco antico, ( e tu sai che cosa significa ciò nella mia scala di valore letterario)
Un saluto affettuoso Carmine

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Eros Ponza la Grecia

Io vengo dalle rive di Omero, dalle rive dell’antica grecia, dalle rotte degli dei.
da dove tutto cominciò.
Quel mondo che ha inventato la nostra storia.
Queste terre ne hanno dato il pensiero, l’anima e un cuore. E soprattutto il Mito.
Sono uno che vive per le rive mediterranee e che volge le spalle a questa civiltà.
Scrivo le mie storie per vivere cercando di essere un uomo, per dare una ragione a questa vita.
Non faccio programmi di scrittura, in quanto è già abbastanza difficile essere uomo in un tempo come il nostro.
Un tempo in cui non mi sento più a mio agio.
L’istinto, il demone della poesia, mi è salvifico per ora.
Scrivi così come vivi, mi disse Eduard Limonov.
E scrivo anche come amo, pensando al poeta russo Andrej Voznesenskij.
Mi sento un uomo perennemente in rivolta.
La rivolta metafisica ed esistenziale di Albert Camus.
E molto ho sempre amato: il Mediterraneo, il Mediterraneo e le sue donne, la sua cultura, la sua origine, i suoi popoli, le sue isole, la vita, il mare in ogni sua espressione, il dialogo costante tra le terre e le sue genti. Io vengo dalle rive di Omero, dalle rive dell’antica Grecia,dalle rotte degli Dei.
Da dove tutto cominciò.
Quel mondo che ha inventato la nostra storia.
Queste terre a me hanno dato il pensiero, un’anima e un cuore. E soprattutto il Mito.
Sono uno c
Come scrisse il poeta greco Odysseas Elytis per me il mare e le onde parlano greco.
A Ponza ho cercato di recuperare l ‘uomo antico.
Ho portato le Muse.e gli dei. Il tempo remoto.
Come ” l’ uomo antico” sono anche i nostri antenati isolani, che con poca conoscenza, ma molta follia e spirito di avventura, spirito omerico, spirito da argonauti, hanno viaggiato a vela da Ponza e colonizzato terre e isole intorno al Mediterraneo.
Io amo le isole di tutto il mondo.
In filosofia mio padre è Epicuro che mi ha insegnato ad essere felice. Aristotele dice che la felicità è lo scopo della vita.
Mi hanno educato alla solitudine e a condividere.
A vivere nascostamente e a stare con gli altri.
I miei compagni di strada sono i poeti di tutto il mondo.
Non mi sento di avere un futuro, non posso avere un futuro, dove l’uomo è assente.
Il futuro è il mio passato.
Mi sento un inattuale direbbe Carmelo Bene. L’inattualità è la mia estetica. La condizione di vita.
La nostra storia nasce con Omero, 2800 anni fa circa, ma è partita da molto lontano, dalle steppe asiatiche e balcaniche.
Omero è il grande capo, lui dice tutto, dice quanto ci serve.
Tutto ciò che Omero dice si svolge in isole e tra isole, dove le donne e gli dei danno il corso alla storia, e gli eroi, sono uomini soli ai loro piedi.
Le isole sono iniziazione,
L’isola è principio di libertà, di bellezza, di virtù, di amore e di purezza.
Le isole sono luoghi aperti ma nello stesso tempo chiusi, possono imprigionare ma poi anche liberare, lasciare andare.
Sopra un’isola non è netto il confine tra realtà e immaginario.
Si può scomparire per poi riapparire.
L’isola attraverso la letteratura omerica, concepisce l’idea del meraviglioso, fa condividere la volta celeste.
La mia ricerca poetica nasce nella Grecia antica e sulle sponde di Napoli dove vissi. La sirena Partenope mi rapi.
Costruivo un mondo per me, con il mio ordine, il mio bisogno di capire e di conoscere.
Le mie radici nomadi, nate dalle storie di tre uomini di mare. I miei nonni e mio padre. E poi le illusioni, la bellezza, l’amore, le emozioni, la pietà.
Iniziavo già allora a sentirmi fuori posto, un estraneo.
Ricordo la prima volta che andai al Museo archeologico di Napoli e poi a Ercolano e Pompei.
Decisi allora che avrei voluto vivere tra statue e resti archeologici di un glorioso passato.
Ebbi il desiderio che la mia casa fosse una biblioteca, un teatro, una strada per concepire pensiero e bellezza, una sala di un museo con statue di marmo bianco, la materia eterna. Quelle statue continuano a parlarmi. Probabile che la Venere Callipigia al Museo archeologico di Napoli, fu il mio primo amore. Questo dialogo si è fatto esistenza.
Una casa che contenesse tutte le isole del mondo, perché ogni isola è un mondo.
Io penso e scrivo spesso secondo una logica e un istinto, che si rifà alla lingua dell’antica Grecia e alla lingua di Virgilio, dove il verbo e la parola vivono e rispecchiano il pensiero e la ragione del sentire dell’anima, della mente, e del cuore.
Parole libere in continuo mutamento ed evoluzione a cui dare il senso ultimo del mondo.
Un mondo dove l’uomo cerca di vivere in armonia con la natura e con i suoi simili, e gode delle arti e della bellezza, che non è solo estetica, ma anche giustizia, pace, serenità.
La bellezza per i greci è una virtù.
L’uomo greco era un uomo libero e si chiedeva il come delle cose, oggi l’uomo dalla sua prigione, si chiede il quando delle cose.
E il come e il quando hanno fini diversi, uno libera l’altro incatena.
La ragione greca riflette e permette di agire sull’uomo, non di trasformare la natura.
I greci sono presenti a Ponza già dall 800 a. C.
Arrivano gli Eubei, da Pithecusa, la Ischia attuale.
Abbiamo qui i resti di due cimiteri.
Sappiamo che i morti non finiscono mai di parlarci, e non ci lasciano mai da soli.
I morti ci danno forza quando i vivi sono incapaci.
I morti ci parlano di coscienza individuale, di giustizia, di solidarietà, di giusta misura, condannano la tracotanza orgogliosa dell’uomo che lo porta a disobbedire le leggi umane e divine.
Motivo di ogni guerra e dissoluzione sociale.
Lo stesso nome Ponza è greco, viene da pontos che vuol dire mare.
L’isola che nasce dal mare, pensavano i greci.
E non può esserci parto più divino e più bello di questo sorgere dagli abissi, dall’ignoto.
In alcuni uomini del mondo contadino, fino a qualche anno fa a Ponza, si sono tramandate gesta risalenti al Simposio di Platone.
Così come ad Ischia ancora tutt’ora, esistono contadini con gesta e parole greche.
L’isola diviene così simbolo di esistere.
A Ponza sono passati tra gli altri lo scrittore Alberto Moravia, il regista Federico Fellini, la scultrice Ursula Querner, il pittore Mario Tarchetti, e il presidente Sandro Pertini.
Questi artisti a cui sono particolarmente legato, danno a Ponza storia e identità più di ogni altra cosa.
Ci lasciano un’isola che è materia-roccia-mare, corpo pensante di una Grecia omerica. Aristotelica e platonica.
Anche il mio ultimo libro Eros, come Adespota e Navigare la rotta, è un inno alla grecità, al viaggio, al Mediterraneo. Il mio essere un poeta greco antico.
E Ponza, si fa l’Itaca del poeta Costantino Kavafis, che porto nel viaggio-esistenza.
Perché le isole sono anche qualcosa che galleggiano, come disse lo scrittore José Saramago. Portano materia al nostro immaginario, viaggiano, ci portano fuori dalla caverna, dal buio, e diventano Utopia, spazi irreali, spazi sognanti, ma anche reali.
Materia di vita. Simbolo di libertà. Le isole sono il corpo di cui mi sento essere fatto. Come per Fernando Pessoa fu Lisbona. E Tangeri per Paul Bowels.
Il sangue che porto. L’aria che respiro. La strada che cammino. Il Fato.

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Rinasce Ponza dai suoi abissi

Ogni giorno quello che pensi, quello che scegli e quello che fai, è ciò che diventi, scrive Eraclito.
L’isola di Ponza sceglie una nuova rinascita dai suoi abissi. Una nuova Resurrezione appare sull’altare della sua gloria. La Ponza di Alberto Moravia, Federico Fellini, Ursula Querner, Mario Tarchetti, Gianni Silvestri, e soprattutto di Sandro Pertini, grida un nuovo parto. La Ponza che accolse rifugiati e confinati da ogni parte del mondo chiede giustizia. La Ponza dei nostri nonni, dei nostri padri chiede nuova vita. Un ritorno alla sua storia. Dalle ceneri, dall’assoluto abbandono di ogni forma di democrazia, dall’esilio morale, dall’orrore che alcuni uomini, i peggiori della sua storia, l’hanno trascinata, umiliata. Una Ponza moralmente esiliata. Abbastanza da avvilire e deprimere ogni essere umano. Mai sentii tanta amarezza, delusione, sconforto, allarme e disperazione tra i suoi abitanti e i villeggianti di passaggio. Ma oggi, il popolo di Ponza, che ebbe fama e gloria per i suoi naviganti, per le donne che accolsero e curarono le ferite fisiche e morali di quegli intellettuali, che la follia mussoliniana portò all’esilio, dice basta. La Ponza dei suoi uomini migliori e delle donne perbene e virtuose, dice basta a questo senso di morte che la attanaglia. La Ponza di quei bambini che vedevo giocare liberi e felici sulle spiagge, per i vicoli tra le case, quei bambini mediterranei, grida libera, una nuova vita. Un ritorno alla cultura, alla civiltà, al progresso, alla democrazia, alla conoscenza e alla giustizia. Mai ho ascoltato a Ponza, politici così bravi nella conoscenza dello Stato e le sue leggi, nell’eloquenza del loro discorrere, su programmi politici, progetti, sogni e speranze. Tanto da commuovermi, e trasmettere alla gente tanta forza e coraggio. Una piazza Pisacane divenuta una Agorà di Atene. Un discorso politico, di questi nuovi e futuri amministratori, fatto con la chiarezza, l’ardore, la passione e le giuste illusioni. Con l’intelligenza e il coraggio degli anni miei di giovane rivoluzionario, tra le università e le strade di Napoli. Sembrava di ascoltare uomini come Mario Capanna, Enrico Berlinguer, Giorgio Almirante, Bettino Craxi, Amintore Fanfani. Uomini che se pur di differente estrazione politica, amavano l’Italia e il suo popolo. Uomini che hanno difeso la libertà e la dignità dell’Italia. Così mi sono apparsi questi giovani di Ponza nei loro discorsi politici, aggiungo esistenziali. Perché senza metafisica, senza idee non si va da nessuna parte. Così mi hanno trascinato in un sogno da realizzare. Ed ora, il popolo di Ponza dice basta. Basta a lacchè, voltagabbana, faccendieri di turno, mafiosi e camorristi, basta a ominicchi per le stanze del potere. Basta ai finti storici, alle falsità di quelli che sboccano inutilità di parole infertili, e di grandezze di solo io. Basta ai quaquaraquà di Leonardo Sciascia. Basta a prostitute del pensiero, e non solo, che offendono e umiliano la nostra terra. Ritorni ad essere Ponza, isola di vecchi a passeggiare tra i suoi muretti, dei bambini a correre felici, di uomini sognatori a realizzare un mondo migliore. Che non ci siano più ultimi né primi, ma solo persone civili che devono vivere. Che non ci siano più abbandoni e ingiustizie sociali. Siano perseguitati e consegnati alla giustizia tutti coloro che delinquono e creano malessere alla dignità umana. I furbetti vari e i violenti devono essere allontanati da Ponza. Ponza rinasce dai suoi giovani, dai suoi bambini, dai suoi artisti. A tutti sia dato una mano, una possibilità, affinché la vita abbia un senso e una speranza. Via dalla nostra isola delinquenti, assassini, e ogni forma di violenza. Ma si accolgono solo persone che portano cultura, armonia, pace, amore e bellezza. Uomini di ogni colore e di ogni paese senza discriminazioni. La terra è di tutti, e Ponza appartiene alla terra. Il benessere sia per tutti. La ricchezza distribuita con la giustizia sociale. Sia Ponza fucina di Democrazia, dove nessuno sia così ricco da comprare un altro uomo, e nessuno così povero da vendersi, come scriveva Rousseau. Che non sia solo il denaro la sola formula di una vita migliore. Non è il denaro la sola vita. Ma la cultura sia la madre che allatta i suoi figli. La bellezza domini ovunque. La felicità il solo scopo di vivere. Nelle rocce, nelle acque del mare, nella storia, così come nella nostra anima e nel cuore, trionfi la bellezza. Kalos Kai Agatos si sentiva ad Atene, già nel 500 a. C. Bellezza e armonia, affinché la vita convenga vivere. Affinché il pensiero umano possa nascere ed evolversi nella conoscenza. Ponza con queste elezione politiche grida basta a deturpare ed uccidere le proprie bellezze. La propria dignità. Che sia un nuovo Risorgimento per tutti. Che trionfi la Ponza degli uomini che l’amano con la giusta consapevolezza di essere loro, e solo loro, i custodi di un grande patrimonio che il destino gli affida. Lo Stato, la Repubblica italiana, che anche a Ponza fu pensata dai nostri padri costituenti, sia presente, come prima e più di prima. Lo Stato accompagni Ponza alla sua rinascita, politica, istituzionale e culturale. Ritorni Ponza ad essere una strada del grande teatro Mediterraneo. La sua identità. Ritorni Ponza alla sua madre Campania, ritorni a parlare con le sue sorelle isole, Ventotene, Procida, Capri Ischia. Un solo popolo, gli Eubei, ci portò la vita. Franco Ambrosino, persona giovane e perbene da sempre, è il nuovo sindaco. E tutti i suoi consiglieri, nessuno sia escluso, siano gli angeli che dovranno traghettare la nostra amata Ponza, per la bellezza e la libertà che il Fato le concede. Le strade della civiltà Mediterranea. La lettera di Pericle agli ateniesi si faccia monumento all’entrata del Comune, affinché ogni uomo conosca il proprio vivere. Laggiù c’ è Ponza, scrisse Alberto Moravia. Laggiù soffia Moby Dik scriveva Hermann Melville. Laggiù c’è la libertà.

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Naufragio di una civiltà, De Luca da Ponza a Tangeri

Fenici, cartaginesi, romani, arabi, portoghesi, spagnoli, inglesi.

Sono tanti i popoli che hanno vissuto e combattuto per Tangeri, lasciando il segno del loro passaggio.

In quella città cosmopolita sulle rive del Marocco, che si affaccia sullo stretto di Gibilterra, sta trascorrendo il suo tempo il poeta ponzese Antonio De Luca e vi sta trovando profonda ispirazione.

Quei luoghi, una delle sue tappe tra un porto e l’altro del Mediterraneo, lo riportano alla sua gioventù a Napoli, a Ponza, l’isola in cui ha ben salde le sue radici, e alle tante peregrinazioni che lo hanno fatto diventare il cantore della cultura mediterranea.

Riceviamo gli ultimi versi scritti proprio nel centro marocchino e dedicati a suo padre, un uomo che in mare, al comando di una nave, ha trascorso l’intera vita.

Naufrago di una civiltà
parte seconda

una giacca sgualcita
un pantalone largo
la macchina fotografica
qualche penna molti fogli
e in tasca un consunto Neruda
trovato in una bancarella di Napoli

è primavera
l’aria afosa d’Africa
a metà giornata il riverbero della luce
tra i muri bianchi delle case
sulla gente al caffè
tra le barche dei pescatori

Tangeri la ventosa
Tangeri la bianca
Tangeri la notte
Tangeri per cosa si vive

come un presepe
di quando ero bambino
quando per ore
stavo a guardarlo in silenzio
e dargli la vita

La mia stanza bianca
ha grandi finestre
le spalanco dove l’oceano entra nel Mediterraneo
entra la luce splendida del mattino
la luna piena della notte
entrano le grandi navi lontane
le voci della operosità degli uomini
il lamentoso canto delle tortore
le stagioni delle favole
la vita insieme senza saperlo

a Tangeri ogni gesto
porta un messaggio una memoria
corpi fatti di storia
di tante civiltà
ieri sera ho cenato con gente della Palestina
a Tangeri non siamo soli al mondo
e così sarò un uomo diviso

Di spiaggia in spiaggia
di strada in strada
di paese in paese
da sud a sud
mi sono separato
da tanta parte della mia vita
dalle ceneri della civiltà:

e per questo ecumene
risorgo oziando

ipotizzo sogno spero
dubito
scrivo lettere
e versi inconsumabili
amo l’amore che non dico
le illusioni

vedo altre vie altri mondi
altre visioni altre realtà
rivelazioni che portano a nuova sorte:

il naufrago è nudo
è un greco
e niente di lui si sa
lo nasconde l’onda
sulla sabbia di ritorno

la figlia di Alcinoo
è sull’isola dei Feaci
lo vede lo cura lo ama

Tutto è indefinito
dove l’origine resiste
la primitiva meraviglia
la terra ancestrale
l’istinto liberatorio:

mio padre mi parlò della comprensione:
mio padre raccontava
di mare di navi di porti
di naufragi e tempeste
della nebbia
di marinai e dei popoli della terra
della loro povertà e dei loro dolori
dei mendicanti sui porti

da quando scoprii gli storpi
e i miserabili della terra
la mia vita non fu più come prima
da allora un senso di impotenza e frustrazione
si è impossessato di me

E in disparte dal mondo
preferisco vivere
dove il tempo passa
come se dovessi
vivere per sempre

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Naufrago di una civiltà, i versi di De Luca tra Ponza e Tangeri

Naufrago di una civiltà

Nella natura selvaggia

ogni cosa è una storia libera

con tutte le variabili

l’ordine non è dell’uomo

Come Achab chiedo al capodoglio

quali misteri conosce

e di svelare cosa vede nell’abisso

il bisogno di senso

le ombre di un passato

Tangeri è un luogo

a cui non do definizioni

come le strade di Atene

come Lisbona o Algeri

Istanbul o Marsiglia:

corpi di pensiero e di lettere

che parlano agli uomini

per ritrovare se stessi

nell’inconsistenza della ragione

Il Sole e il vento di Tangeri

sono il sole e il vento dell’infanzia a Ponza

degli anni a Napoli

le estati sulle navi

pesano sul mio corpo

così la bellezza della sua gente

la fierezza la dignità

incantato la guardo in faccia

questa marea di anime

tra cortili di arancia e menta ovunque

Il mare che sbatte alla riva

è la nostalgia di un tempo

dove gli dei erano presenti

ed Eros fece la luce

la geografia è il mio corpo

ne delinea le vene e il nervo

le ossa e il movimento

non ha aldilà:

strade e paesaggi il vicinato

la frugale povertà

il senso epicureista

navi e banchine timonieri e capitani

tutto è materia idea e parola

ragione e amore movimento e indecifrabilità

speranza per capire

a Tangeri cerco

di dare una ragione alla ragione

ma essa sempre sfugge

non è necessario capire tutto

è il sogno che ci protegge

la primordiale innocenza

Avrei voluto vivere a Parigi

sotto un basso tetto di legno

o chissà dove

o vivere in una cabina di un mercantile

e passare la vita sui porti

tra il catrame di navi arrugginite

tra i mendicanti del mare

o passare tra isole degli oceani

e avere figli da crescere:

la casa ho in tutto questo

in questo silenzio

primitivo remoto lontano

un silenzio che è pensiero

il silenzio del mondo

solo il silenzio esiste*

cresciuto tra le foto dei morti di famiglia

a cui diedi presenza e coscienza

discorso e speranza

lacrime e preghiere

ne feci i miei eroi

eroi dell’animo umano

nella casa teatro

storie di uomini di mare

con cui scoprii rotte aspre

e tormenti della rivolta

senza negare mai la libertà

e l’assoluto

e cadendo su queste rotte

le cicatrici sul corpo

porto da bambino:

Questi versi

non hanno un destinatario

non hanno una patria

né ragioni da dare

stanno in un corpo sopra una terra in prestito

vivono e mi danno da vivere

quello che dico

sono cose antiche

sacre

miti di un tempo

cose mie

amori segreti

l’amore che non ho dato:

solo la volontà di essere

nell’esattezza di un momento

Cerco una donna che potrei amare alla follia

fuori dall’orrore dell’oggi

dalla barbarie moderna:

così mi ci butto dentro

e questa volta muoio nel suo grembo scuro

non voglio il tempo del parto

non ci sarà luce che inganna

voglio amare per sempre

vivere senza sapere

sulla terra il tempo passa presto

è fugace e illusorio

anche questo è assurdo

Tangeri è

io sono

volontà di vita

*da José Saramago

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Tangeri, prosegue il ciclo poetico del ponzese De Luca

L’Africa, Tangeri nello specifico, continua ad essere fonte di ispirazione per il poeta Antonio De Luca, di Ponza.

Riceviamo e con piacere pubblichiamo gli ultimi versi che ha scritto:

Quante volte mi hanno salvato la vita

Arcano
per strada in viaggio
il rifiuto di obbedire

un destino
come la poesia
la libertà

Fuori dal tempo
e prima del tempo
seguo il ritmo della vigna
dei pesci
il tempo degli astri
il consumarsi della pietra

Rifugiato sopra isole
e fuggiasco ovunque
tra la città di Fernando Pessoa
e sperduti villaggi berberi
mi fermo sui moli
da sempre
in attesa di mio padre

Tangeri mi accoglie

Dalla Grecia
ho scritto all’uomo
parole primitive metafisiche
la poesia non ha regole

Nell’ ignoto sacro e nudo
accolgo il mondo
e i morti
a cui sono sopravvissuto
gli eroi e gli sconfitti

gli amori mancati
quelli miracolati

il luogo da venire
l’incontro con l’altro

Del profeta
che arriva dal deserto
di Achab e di Odisseo
porto il sangue nelle vene
Picasso mi perseguita
anche Ovidio

La terra non appartiene all’uomo
così dissero gli dei

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Tangeri e la cultura mediterranea nei versi di De Luca

Una vita in viaggio e il viaggio come essenza della vita.

Non si ferma mai il peregrinare del poeta Antonio De Luca, di Ponza, da un capo all’altro del Mediterraneo e quelle terre bagnate dal mare nostrum sono per lui sempre fonte di ispirazione.

Davanti a una spiaggia e ascoltando il rumore delle onde, la mano di De Luca corre al taccuino, dove imprime i suoi versi d’amore per la stessa cultura mediterranea e con i quali mostra il legame indissolubile con la sua isola.

Proprio come ha appena fatto a Tangeri, con Lo Spirito Mediterraneo, poesia che con piacere pubblichiamo.

Tangeri guarda l’oceano e il Mediterraneo.

De Luca vi torna ogni anno, affascinato da quella città multietnica che definisce ombelico del mondo.

Per lui è da sempre città di fuggiaschi.

Ci vissero Matisse, Lacroix, Williams Burroughs, Paul Bowels, Tennessee Williams, Truman Capote, Allen Ghinnsberg, Ive Saint-Loraine, Jean Jenet, Kerouac.

“Qui si rifugiarono gli attori americani in fuga da Hollywood durante il maccartismo – sottolinea De Luca – perché accusati di essere filocomunisti, qui nacque il film “Il Te nel deserto” di Bertolucci, qui son passati tra gli altri Pasolini, Visconti… città che fu fenicia, cartaginese, romana, araba, portoghese, spagnola, inglese”.

Ancora: “Qui si respira la letteratura, la si sente ovunque. Si respira e si vive cultura. Il poeta Tarik Jeaan Belloum lo respiro nelle visioni così come i nuovi poeti marocchini, il Marocco è patria di poesie, così il poeta Mohammed Bennis mi appartiene molto… Qui i giovani tutti vanno all’università e convivono pacificamente tutti i credi religiosi, ci sono le tre religioni monoteiste…qui la geografia è la geografia molto algerina, come nelle pagine di Camus, e la sento sul mio corpo, la geografia mediterranea, la metafisica del pensiero ellenistico mediterraneo”.

Abbastanza per ispirargli versi da cui emerge tutto il fascino del mare nostrum.

Lo spirito mediterraneo

Per strada qui a Tangeri
porto una piccola valigia

dentro, un taccuino e un profumo di Madini
la macchina fotografica
un libro di poeti del Marocco
un altro di Raymond Carver
e un’idea di Albert Camus: che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no.

Ogni mattina attendo l’alba
passo da stanza in stanza
il finire della notte misteriosa
sento il mare
i motori delle barche
sento i gabbiani e i colombi
vedo le luci delle navi passare sull’orizzonte
e la fragile nostalgia mi sovviene:
il volto reale del tempo
la terra che attende
il disordine dell’umanità

il mare straniero e generoso
il porto sconosciuto
le rocce e la lunga spiaggia
la schiuma dei cavalloni
le cicale tra le palme
mi sono più vicini
della terra che mi crebbe

ogni cosa ogni persona
mi sta più vicina
qui non ci si volge dall’altra parte
non si fa finta di niente

poi mi vesto di un gran bene
il preferito color avorio

e salpo per la città
per la mia vita segreta
come una nave
che non conosce porto d’arrivo
tuttalpiù una rada
perché non può esserci porto d’arrivo

A Tangeri
in questa geografia
la rivelazione è una sorte
ho con me
il tempo prima degli Dei
il regno delle cose
la dignità di Nessuno

mi saluta la gente per strada
nei bazar nei caffè
come uno di loro
come colui che arriva da terre antiche
a vivere se stesso
a scrivere e pensare
e che non può fare altro
e altro non chiede

un rifugiato dal mondo
nativo di isole
a cui non più dà un nome

con la memoria nel passato
ogni isola porta di nome Itaca

si, quelle isole di solitudini della esistenza umana
dove si naviga a vista

Tangeri ha il cuore beato
di chi apre le porte
di chi fu cara agli Dei

in qualche piazza o slargo
al Grand Socco o la kasbah
ad ogni vista sulla città
oziando una visione
scrivo qualche parola
la parola che non mente
un verso una poesia

osservo
girandomi nel passato

ho il desiderio di cambiare la vita
essere un altro uomo
stare nella vita di ogni giorno

guardo la gente sono straniero
scrivo da dove arrivo
tutte le miglia che ho percorso
dal giorno della nascita
l’indicibile solitudine della memoria

A Tangeri
sento la vita e l’amore
la devozione e il mistero
l’estasi di essere
di amare libero di andare libero
e perdermi se devo perdermi

pieno di libertà e pazzia
un altro uomo
l’uomo che pensa
e non deve capire

l’uomo delle favole
senza residenze

bisogna vivere
fare presto a vivere
l’isola è solo una possibilità

ho perso la patria

per vivere solo per vivere
sta la terra promessa

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Il tempo pagano, Capri ispira il poeta ponzese De Luca

Nel suo peregrinare da un capo all’altro del Mediterraneo, anche quest’anno Antonio De Luca, di Ponza, è tornato a Capri.

L’isola è intrisa di letteratura e il particolare, unito alla sua bellezza e alla sua storia, continua a ispirare il poeta ponzese.

De Luca ha scritto i versi che con piacere pubblichiamo, un omaggio, l”ennesimo, alla cultura mediterranea e anche a Ponza, dove al Fieno, tra gli antichi vigneti e i pochi contadini rimasti a coltivare quella terra così difficile il poeta ha il suo luogo del cuore.

Il tempo pagano

isola
mare e terra
iniziazione misterica

sei tutto quello
che in me
è rimasto dalla nascita

prigionia desiderata
fuga e ritorno

salvifica e oracolare
acqua madre

terra di amori silenziosi

La casa ho sulla scogliera
solitaria e irripetibile
del primo abitatore
dell’io antico e perduto
della follia libertaria

nel silenzio delle Sirene
mi struggi isola

senza peccare

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Della sirena Partenope

Ogni volta lascio Napoli
per un non so dove

poi torno ed è tutto
già subito una bellezza

la memoria
a Napoli questi giorni
è non pensare il presente
ma io non ho mai avuto
un presente

Napoli è il passato
il passato è la sua sirena

Strade dell’ infanzia
Dioniso il sacro
Leucotea

il tempo di Pausilypon

le navi alle banchine
le luci del porto
la brezza marina del lungomare

l’odore del cibo per le strade
le luci della sera
le chiese e le anime del purgatorio
le bancarelle degli animali
i venditori ambulanti

i compiti nelle sere d’inverno
Virgilio e Saffo
Mimnermo e Catullo
carpe diem

la lingua degli antichi

la geografia
che mi porto addosso
e mi da il piacere e la forma

A Napoli sono nato

ho avuto il primo grido
davanti a questo mare salato
a quei carghi in attesa

La memoria è un magma che apre la terra
ed esce
la vita generatrice

Napoli mi diede la bellezza e la rabbia
la poesia e la catarsi

Napoli è il richiamo letterario
metafora di sangue

l’esilio sta nel passato
dove non ho presente

Ma solo il futuro

il vita che ancora non è
la mia prigione

il dolore dolce
del canto di una sirena

È Partenope
la figlia di Melpomene

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