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Intervista A Sua Immagine
Puntata del 13 luglio 2024
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Maria Picicco un’Antigone mediterranea
dal libro L’isola di Mariano di Antonio De Luca, La valle del tempo editore
Il mito è il passato, il presente e il futuro. Il mito è il tutto. Il mito è gli accadimenti di sempre, dove il divino e l’umano si intrecciano nella storia dell’uomo e ne determinano il destino.
Il teatro greco antico è la rappresentazione perfetta della vita dell’uomo e del suo destino.
Esso è dramma e amore, maledizione e dissoluzione, la vergogna e l’estrema solitudine.
Il teatro che meglio esprime la fallibilità umana e la corrosione di sé stessi, il coraggio e
l’impotenza dell’uomo, il destino contro cui spesso non si può lottare, ma allo stesso tempo esiste il bisogno di sperare per non morire.
Maria Picicco, la madre dei perseguitati politici durante l’era fascista a Ponza, colei che li protegge, li nascondeva, gli dava protezione, colei che seguiva la sola legge dell’umanità, la legge primordiale, la sento e la vedo come Antigone, l’opera stessa, la tragedia di Sofocle del 400 a. C. circa.
Antigone è l’eroina che lotta contro la legge ingiusta degli uomini in favore della legge degli dei, la legge dell’umanità che è presente nell’uomo fin dalla sua nascita.
Alla morte di Antigone condannata dalla legge degli uomini, come predetto dall’indovino cieco Tiresia, la città di Tebe sarà distrutta dagli eventi incontrollabili alla mente umana, al cuore degli uomini.
Una società idiota e cieca, come quella che in cui viviamo, votata alla sua sola riproduzione ripetitiva, al funzionamento del dominio e dell’arricchimento sprezzante. Ponza come Tebe, la sua società andrà inesorabilmente all’annientamento? Così Maria Picicco grida dalla sua memoria: la fallibilità di isolani e isolati è sempre presente, e l’abbandono della condivisione degli dei, e dei sentimenti e delle virtù della saggezza, a favore del dio del potere e del denaro, un dio stratega di dissoluzione e di comunità, di guerra tra gli uomini senza virtù, portatore di dolori e di fine.
Antonio De Luca
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Nuovo teatro ponzese, una speranza per la comunità.
A voi la mia gratitudine.
Nell’assistere alla bella rappresentazione teatrale della Nuova compagnia del teatro ponzese, su un opera di Eduardo De Filippo, la prima impressione che ho avuto, immediata e terribile, è stato il ritorno a un Mito dell’antica Grecia, culla della nostra civiltà.
Ho sentito, come un fulmine penetrante la presenza dello spirito Elpis. Elpis nel Mito greco è la personificazione della speranza. Elpis è il nome che i greci davano alla speranza che deve salvare l’uomo. Ne parlava Esiodo nella sua opera Le opere e i giorni. Si, la speranza. Questo nobile sentimento. Così importante nel divenire dell’uomo e della sua coscienza cognitiva.
Questi ragazzi del Nuovo teatro ponzese, come già in altre occasioni negli anni precedenti, ci riempiono di emozioni e tengono accesa nel nostro spirito comunitario isolano, già martoriato da anni di incuria su ogni fronte, una speranza. La speranza di un qualcosa di migliore, di bello, un futuro su cui credere. Il linguaggio dell’opera eduardiana riporta Ponza alla sua lingua originale, alla sua identità primitiva, a quella identità campana. E questo ci deve gratificare molto, oggi che il gergo dominante è lo scimmiottamento di quel romanesco importato dal peggior turismo.
Ponza deve utilizzare la sua lingua originale, se vuole conservare la sua identità.
E per questo anche che il teatro ha una sua massima funzione. Non posso non pensare riguardo alla speranza, a quella bellissima poesia L’invincibile estate di Albert Camus, dove è la speranza a poter salvare l’uomo dall’odio facendo trionfare l’amore. La speranza come inno alla vita, alla conoscenza, all’amore. Avrà questa comunità ponzese la speranza di salvarsi dalla frantumazione di questo sistema, da questa barbaria dilagante, mi chiedo.
Questi bravi ragazzi esaltano la grandezza di De Filippo nell’oscurità attuale di questi anni, dando una speranza all’isola, ai suoi abitanti, facendosi loro stessi portatori di questo sublime sentimento. Sin dall’antichità il teatro è stato scuola importantissima in qualsiasi civiltà. Pensiamo alla Grecia antica, dove andare a teatro era la più grande forma di educazione e d’istruzione. Andare a teatro nell’antica Grecia era come un rito religioso, un sistema educativo aperto a tutti i cittadini senza differenza di classe, tanto che era lo Stato a pagare il biglietto.
Ponza ha bisogno più che mai di un teatro che educhi, che faccia riflettere e avvicini le persone alla loro identità che lentamente si sta perdendo. Il mio augurio è che questi bravi ragazzi-adulti in futuro possano affrontare anche altri autori teatrali, affinché tutti ci possiamo riconoscere in una cultura e un’identità mediterranea, che mette l’uomo e il suo destino al centro di tutti gli interessi. L’opera e l’impegno teatrale del Nuovo teatro ponzese è degno di andare avanti e di conservarsi nella sua opera educatrice e conoscitiva.
Ponza deve essere fiera di questa sua piccola gloria, ma grande nell’impegno e nel pensiero.
A voi del nuovo teatro ponzese la mia gratitudine.
Antonio De Luca
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Il senso delle cose
Tra le pietre dei muri a secco
tra i muri di calce della casa
nei pressi di un’alta scogliera
attendo la notte
e il vasto cielo stellato
e poi l’aurora
e il sole di mezzogiorno
il suono dell’ora
la voce della controra
attendo
le voci delle Muse olimpie
le figlie di Zeus
il mare ondoso sento che frange agli scogli
porta il racconto di colui che ritorna
il naufragio e le grandi speranze
tutto questo mondo
la meraviglia e il suo tempo
il senso dell’esistere
sento il principio di tutte le cose.
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La grotta sul Mediterraneo
La bella roccia nascose
la spelonca
nella sacra acqua
del mare lucente
mostrò il suo corpo e l’anima agli Dei
Eros allora
il poeta vagabondo
fece naufragare
e il pensiero rapi
Zeus qualunque sia il suo nome
mai sirena fu tanto eccelsa
stetti estraniato
così a mirarla
del Mediterraneo nell’acqua
le chiesi il nome.
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La vigna di Prometeo
La vigna sta sulla cima di una scogliera
sopra un’isola
dove la vita la stringo al cuore
è una vigna che dice qualcosa
dice molto
ha detto tutto e niente
pone domande
e senza chiedermi motivo
è presente in ogni istante
una vigna che fa confessare
metafisica
dove succede l’impensabile
qui ho liberato Prometeo
dalle catene di un dio
il ribelle mi ha donato la coscienza e la scrittura
il fuoco e la speranza
ogni cosa fa pensare
qui tutto avviene
presagi e presagi
porto i luoghi della terra dove passo
dove mi sento a casa
fonti di lettere
è questa la vigna che aro
dove cammino pensando
la vita dei pampini
le necessità delle radici
i dolci frutti
i piedi delle donne che li schiacciano
il mistico succo
e tutto ha una ragione
alla controra sotto i tralci
sopra la terra innocente
mi distendo quieto
e sento il cuore della terra
e mi copre l’erba incolta
fisso il cielo
e nessuno sa di me
se non il Fato
ribelle anch’io
mi tengo fuori dal mondo
bevo parlo scrivo
racconto storie
spero l’insperabile
tengo discorsi belli
tracce solo tracce
Un libro dell’inquietudine
a mia difesa
i lari della casa come augurio
e poesie molte poesie
la vigna
è una fuga continua
dove nulla posso capire
e niente si spiega
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Buone feste
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Presentazione al Fieno di EREMITA A UTOPIA
Presentazione del libro ai velisti partecipanti alla manifestazione, il tutto bagnato dal vino UTOPIA.
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