Pagine Tangerine

Appunti da Tangeri

 

Tutto parte da un’isola. In mezzo al mare, si vede oltre il visibile, si scopre ogni oltre. In mezzo al mare ogni cosa può essere possibile, ogni pensiero si fa provvisorio in attesa che arrivi un altro. Il mare è speculativo. Sul mare si vede poco, ma si pensa molto. Sul mare si vede col pensiero. Il Mediterraneo si apre e ci invita a pensare a scoprirlo, quasi come una grande biblioteca. Quest’isola si chiama Ponza, era la fine degli anni 80. E poi, sopra quest’isola c’era una casa proprio sulla spiaggia che dominava l’entrata nel porto e l’arrivo delle navi. La casa dei nonni dove vissi fino ai 10 anni. Poi andai a vivere a Napoli. Ricordo che quell’ isola aveva, faceva e dava una grande e bella cultura. Apparteneva al Mediterraneo. Ponza aveva una grande storia contadina e marinara. La trasmetteva ai suoi giovani, anche in modo non volontario, ma quella Ponza voleva bene ai suoi giovani o forse si illudeva di amarli. Ma a noi bastavano le illusioni per essere felici. Anche le illusione alimentano la vita. A Ponza gli uomini di mare, con i loro bastimenti avevano solcato ogni rotta. Noi ragazzi sopra questi bastimenti ci giocavamo, li disegnavamo. Erano materia della prima vita. Quegli uomini di mare hanno fondato paesi e popolati luoghi e isole lungo le coste mediterranee. Rifornivano i mercati della Francia di aragoste attraverso il porto di Marsiglia e quelli spagnoli da Barcellona. Raccoglievano anguille nelle valli di Comacchio e a Prevesa in Grecia per portarle sui mercati del mediterraneo. Nell’ arte contadina fino a qualche anno fa ci sono stati uomini che appartenevano ad una cultura arcaica tramandata dall’antica Grecia attraverso le colonie di Ischia e delle coste campane. Questi contadini hanno fatto di un territorio cattedrali di muri a secco. Nella casa dei nonni vivevo gran parte del tempo, le loro storie di vita erano le uniche favole che conobbi, quando poi scoprii che erano storie vere, allora la vita entrò nel mondo della realtà. E quelle storie divennero letteratura attraverso Conrad, Melville e Stevenson. Anche ossessioni immaginifiche.

 A Ponza ci tornavo poi durante le estati. Una delle prime cose che mi insegnarono era remare, raccogliere frutti di mare, e poi piantare la vite. Remavo per lunghe distanze, mi piaceva, e la fatica non la sentivo, anzi quei calli alle mani, erano orgoglio. I giocattoli erano solo barche e navi fatti da loro. Con i miei nonni trascorrevo lunghi silenzi. I miei nonni parlavano di cose essenziali e le parole erano appropriate ai pensieri e alle azioni. In quei silenzi la mente concepiva l’aspetto speculativo dell’essere che si andava formando. A volte la casa era un suk, soprattutto durante le feste. Nei mercati oggi mediorientali sento ancora quelle voci e quei profumi. La casa me la porto appresso. Da quest’ isola della mia infanzia iniziai a partire dopo gli anni dell’Università, ma sempre con l’intento di ritornare. Il nostos  omerico. Anche se oggi quest’isola mi è distante e non mi appartiene più. Questa terra di oggi mi è inospitale, priva di fermenti culturali, ai margini della storia mediterranea, quasi condannata all’arretratezza, all’ignoranza, dedita solo ad un potere affaristico e di lobby. Lentamente mi accorgo che drammaticamente perdo ogni attacamento all’isola. Lo sradicamento lento mi è inesorabile, e mi sento sempre più estraneo a quella cultura, a quel vivere sociale. Ma nonostante ciò alcuni dei suoi luoghi, e le sue memorie sono sostanza ed essenza delle viscere, del  pensiero. Anche se le mie radici non sono prettamente di Ponza ma campane. I luoghi degli orizzonti mentali rimangono la mia infanzia nell’isola. Quella Ponza mi ha insegnato a guardare il mare. Quella Ponza mi ha messo il mare nel destino. Il prologo ai poemi omerici, i primi versi. Il mare mi ha spogliato e ha messo a nudo le mie fragilità, il mio essere, ma ha fatto eruttare la mia forza espressiva, la voglia conoscitiva del sentirmi mai straniero in ogni luogo. A Ponza si prendevano le navi e quelle navi a noi bambini ci portavano verso l’ignoto. Non avevamo la coscienza dei porti, del viaggio. Così iniziai a scoprire la bellezza del mistero e il bisogno dell’altro. Ponza divenne il simbolo della libertà. Sopra un’isola il tempo non conta,  contano le stagioni, come nella vigna di Cesare Pavese. Ho sempre pensato che il mare non divide ma unisce ed io ho bisogno soprattutto di sentirmi unito agli altri popoli, alle altre razze, ai diversi da me. Nel Mediterraneo non mi sono mai sentito uno straniero. Allora il Mediterraneo con i suoi porti Napoli, Marsiglia, Barcellona, Tangeri, Algeri, Palermo, Beirut, Alessandria, Istanbul, Lisbona, con i suoi popoli, le religioni, i suoni, i colori, le voci, la poesia, le tradizioni mi appartengono. La mia fortuna ha voluto che potessi andare da un luogo dall’altro seguendo il mio istinto senza dar conto a nessuno. Sono fatto di questa materia, il non dare conto a nessuno. Sono la stratificazione di queste culture, di queste conoscenze. Arrivare da un altro luogo e stare insieme a gente prima sconosciuta. Questo luogo mi serve per mantenere le proprie tracce visibili. Il cammino riporta all’essenza. Di fronte all’estraneo si rileva la luce dell’infanzia. A Tangeri come a Lisbona mi sento profondamente accettato. Un giorno, avrò avuto 5 anni, mi catapultano sopra una nave, senza rendermene conto. Ci passavo l’estate fino intorno ai 13 anni. Mio padre anche lui era un comandante. Trascorrevo due mesi per il Mediterraneo, tra mare, porti e fari. Mi piaceva anche la noia che spesso nei lunghi giorni di navigazione mi assaliva la sera. Quella noia ora spesso è compagna. Mi piaceva assistere alla vita di bordo e quella sui porti. Lo scarico e lo stivaggio delle merci. Cosa si diceva la gente, i loro volti di gente sconosciuta. I volti plasmati da una vita di sacrifici e duro lavoro sopra quel sale di mare che ti partorisce una seconda volta. Ricordando Nicolas Bouvier possiamo dire che non siamo noi che facciamo un viaggio ma è il viaggio che fa noi. Il viaggio ti dà le vertigini dell’improvviso, quasi l’estasi dell’innamoramento. Nel viaggiare il mio pensiero ha sempre tenuto presente Albert Camus e quel suo umanesimo possibile. Parlando con Predrag Matvejevic  una volta mi sussurrò che per lui il Mediterraneo doveva essere anche compenetrazione di conoscenze. Con Predrag nei pomeriggi romani parlavamo a lungo di Camus, del Libano, dell’Algeria e poi ogni discorso finiva a parlare della sua martoriata Mostar, il luogo della sua infanzia. L’assurdità della guerra per motivi religiosi. Un giorno mi spedisce una cartolina di Mostar col ponte che non c’era più. Mi disse che su quel ponte c’erano le sue prime corse da bambino. Non dimentico ogni mio incontro con Predrag. Egli sta nel mio cuore e mi protegge come i miei nonni che mi diedero la fortuna delle loro storie. Il suo affetto mi sta addosso, lo trascino come una valigia. I miei nonni, loro Comandanti di bastimenti a vela con una sola bussola per le rotte mediterranee, dove i ritorni spesso erano omerici. Raccontai le loro storie a Predrag, mi disse che se ci fosse stata un’altra edizione del Breviario Mediterraneo, loro ci sarebbero stati a raccontare il loro mediterraneo. Vivere insieme a questa gente mediterranea, condividere le cose in comune, pur lasciando le tracce della mia cultura, scoprire le diversità e farne elementi di conoscenza e unione, è quello che da forma e ragione alla mia esistenza, al mio epicureismo di un mediterraneo esistenzialista. Quella esistenza che viaggia e si solidifica attraverso un percorso camusiano. La mia solitudine conoscitiva me la sono messa addosso, il perché  non l’ho so, nonostante spesso me lo chiedo. Il fatto poi che io scriva versi è qualcosa che ho sempre fatto. La parola e il verbo sono la materia del mio corpo, del pensiero, dell’ esprimere la vita. Amo la parola nella sua massima espressione, nel suo significato estremo ma finale mai. La materia di una vita in rivolta. Albert Camus è  stato ed è ancora il Maestro. Quell’ esistenzialismo laico che penetra il pensiero. Lo educa all’ esplorazione dell’abisso della conoscenza. Mette l’uomo davanti alla problematicità inesorabile della propria esistenza. Con il pensiero di Albert Camus mi confronto ogni giorno. La sua religiosità atea unisce ogni coscienza. Il suo umanesimo “solitario e solidale” penso che abbia un’ altissimo senso di religiosità, l’unica che può  superare ogni totalitarismo monoteista. Camus si è straziato per tenere gli uomini insieme. Forse più di ogni Cristo vivente. Camus e il suo Mediterraneo ci fa fare i conti con la nostra coscienza. Con lui ho avuto la consapevolezza di esistere nei posti in cui ho vissuto, li ho amati come posso amare una donna, e quei posti me li sono sposati. Ogni cosa che si ama contiene una parte del nostro destino. Il destino mediterraneo. E la poesia è veggente, anticipa il possibile, convive col destino. I poeti sono semi-dei. Ernesto Sabato a Buenos Aires quando seppe che venivo da Napoli, quindi ero un mediterraneo, mi chiese se conoscevo il pensiero di Albert Camus.

Il Mediterraneo col suo sole, e il vento, la pioggia e il freddo, gli uragani e le bonaccia, con le sue donne e il suo vino, con i poeti e filosofi, con il suo paganesimo mi è entrato nell’anima e ci convivo. È qui la mia esistenza come il vento che dà forma e consuma le pietre. Io convivo con queste pietre-macigni.

Ed è con questo compasso camusiano, insieme al pensiero del mio grande maestro e amico Predrag Matvejevic, insieme al marsigliese Jean Claude Izzo e al portoghese Fernando Pessoa, con i poeti tutti, che traccio le rotte. A fare cosa con precisione non mi è chiaro, anzi non me lo sono mai chiesto. Forse quando inizierà il tirocinio per la morte dovrò pur darmi un motivo di questa mia storia. Di sicuro ad assistere, a vivere, a condividere dove c’è da condividere. A innamorarmi, a pregare, a conoscere, a mangiare, a implorare, a scrivere, a darmi, ad ammirare ogni luogo e ogni persona, con l’energia miracolosa, dove ogni cosa può succedere. Con l’amore con cui tutto avviene. Illudendomi che vivo con tutti gli uomini che Camus ha pensato di mettere insieme. Esiste una umanità che accoglie e questo è la cosa più bella per cui conviene vivere. Stare in questo Mediterraneo scrivere versi e vivere tutte le sue problematicità, le gioie e i dolori, amare la bellezza delle donne, è un modo di stare nella vita. Con lo stesso modo con cui Pessoa stava a Lisbona, Izzo a Marsiglia, Camus ad Algeri o a Parigi, Borges a Buenos Aires, tutti a camminare, a vivere esistenze presenti fino alla crosta terrestre. A condividere ogni tutto.

È con questo spirito, con questi orizzonti di un umanesimo camusiano e gandhiano , che la mia risposta sui grandi flussi di essere umani in questo momento storico, non può non essere che di accettazione senza se e senza ma. Confronto, accoglienza, fratellanza deve accadere. Non si può non accettare chi fugge dalla guerra, dalla fame, dalle malattie. Non possono esistere leggi a riguardo che escludono o razionalizzano. Quale ragione si arroga una presunta e labile verità di decidere chi mangia e chi non deve mangiare. Tutte le porte devono essere aperte, giorno e notte. Ogni giorno il sole sorge per tutti gli uomini, mi disse un vecchio Capitano. Con una ragione in più. È questa civiltà europea degli ultimi secoli, la cosiddetta civiltà occidentale, che ha affamato interi continenti col colonialismo e neocolonialismo, che ha provocato guerre e carestie. Scontri di religioni e civiltà, non in nome di una ragione o di un umanesimo, ma in nome di una accreditata verità fideistica o interessi di appropriazione materialista. Quante tragedie abbiamo vissuto per le religioni e oggi anche per le banche, per questa nuova dittatura del liberismo finanziario massacratore di popoli. Questi nuovi fascismi su scala mondiale disintegrano l’essere umano. Abbiamo bisogno che di menti illuminate, filosofi e poeti, artisti e pensatori si prendano cura dell’uomo per una migliore convivenza tra i popoli. Per una vera libertà che ponga l’uomo al di sopra di ogni interesse. Il contrario mette inevitabilmente a repentaglio la stessa sopravvivenza della stragrande maggioranza dei popoli. E’ assurdo che una ideologia solamente di mercato vada dritto verso la distruzione di massa in nome di un neoliberismo massacratore, fallito già nella sola enunciazione della sua ragione e di pensiero.

Qui bisogna urgentemente ripensare il tutto, prima che ogni ragione si frantuma. Una rivoluzione può iniziare da una rivolta del singolo già solamente nel ripensare il modo di vivere la propria esistenza.

Sul porto di Istanbul un vecchio mi chiese dove stavo andando. Poi mi raccomanda ad Allah dicendomi: figlio non avere paura di perderti.

Antonio De Luca

 

Tangeri, novembre 2017 Sono le ore 3, la città dorme, la guardo dalla finestra sul porto, sento qualche gabbiano. Lontano vedo le luci delle navi sullo stretto di Gibilterra. Domani alle 7 arriva la prima nave dalla Spagna poi entrano le barche dei pescatori e il porto si anima. Io andrò a vedere che pesci ci sono sulle barche. Poi farò colazione su questa terrazza a guardare quello che scrittori e attori, registi e pittori, musicisti e artisti, viaggiatori della parola e delle immagini, anche loro in questo albergo seduti su questa terrazza, hanno visto prima di me. Poi mi trasferirò nella kasba.