Paolo Mieli a Ponza d’autore. Luglio 2017
NAVIGARE LA ROTTA di Antonio De Luca, un grande poeta del Mediterraneo.
Il mare ci torna ogni mattina, ogni sera nelle immagini come Mediterraneo, un lago di morte, vediamo galleggiare dei cadaveri. Oggi ci restituisce un’impressione di violenza, ma noi lo sappiamo in fondo al cuore che il mare è quello di Antonio de Luca, è quello di questi versi, è quello di questa serata, questa è una serata dedicata a Ponza, a un’isola e a un grande poeta ma è una serata dedicata anche al mare. È cominciata con delle onde, le abbiamo sentite nei loro ritmi, ed è una serata molto particolare. Io credo che voi siate venuti così numerosi qui stasera per tanti motivi, uno per affetto al poeta che qui celebriamo, ma anche perché noi tutti in fondo al cuore lo sappiamo che quel mare non è quello che noi vediamo ogni giorno, con i cadaveri di cui parliamo, delle armi, che questa è un’immagine per fortuna fittizia, momentanea di quelle onde. Ma il mare vero è un altro, il mare è quello da cui viene tutta la nostra civiltà, il mare in cui si incrociano queste lingue, queste culture, queste religioni.
Tutta la storia della civiltà mondiale, non solo la storia della civiltà dei paesi che circondano questo mare, è una storia che viene da questo mare. Ed è il mare che si vede, alcuni di voi pochi fortunati lo conoscono, dal rifugio che Antonio che si è costruito pezzo per pezzo in modo frugale, con pezzi del suo passato, una casa veramente molto suggestiva, in un posto deserto che si raggiunge molto faticosamente e da cui ha tratto la linfa per questo magnifico libro.
Questo testo, queste poesie in tutte le lingue con reminiscenze fortissime di tutti i posti del mediterraneo è un invito, un’esortazione a guardarlo da soli questo mare.
Io penso che questa serata avrà successo se ognuna delle persone che hanno la fortuna di essere qui stasera, domani all’ora che preferisce si metterà in un punto deserto di questa isola senza gente intorno. E come Antonio, guardando il mare, ricordandosi i versi recitati questa sera in modo così fuso, così integrato, con un’unica voce, dedicherà cinque minuti alle onde del mare, vuol dire che questo libro vi sarà entrato dentro, ed è vi assicuro un balsamo una cosa di ricchezza unica.
Paolo Mieli
Recensione di Maria Gargotta
Ancora un altro testo poetico di Antonio De Luca, dopo Adespota, di alcuni anni or sono, scritto a quattro mani, insieme all’amico Andrea Simi; occasione in cui conobbi il nostro poeta, presentatomi da Francesco D’Episcopo, ed ebbi modo di apprezzare la sua poesia. In seguito, ho avuto modo di conoscere, in alcuni recenti incontri napoletani, in un caffè universitario di Napoli, in via Marina, lo stesso autore, e mi sono resa conto, dai suoi colorati e appassionati racconti di viaggio, di essere di fronte a uno di quei talenti naturali, che, senza aver seguito magari studi regolari, hanno saputo attingere da una vocazione (Hillman direbbe daimon), tutta interiore e tutta sua, e da una quantità innumerevole di letture solitarie e appassionate, l’arte, l’ingenium e la tecne, che costituiscono l’Arte, con la A maiuscola; non si può scrivere una poesia, come quella di De Luca senza che i tanti versi letti si trasformino in memoria, sangue e vita. Sì, perché, al di là del genio naturale, che è, a mio parere, l’humus per ogni creazione artistica, l’arte non si improvvisa, si nutre e cresce su un corposo bagaglio di conoscenze.
Dunque, Navigare la rotta! Come mi ha insegnato il mio grande maestro, Francesco D’Episcopo, nel titolo c’è già tutto o quasi: poema di navigazione, di viaggio, di avventura fisica, mentale e interiore, seguendo una rotta ideale, che è fatta di sogno, di bellezza, di riconoscimento e di recupero di un’umanità perduta. Anche l’immagine, particolarmente suggestiva, che rappresenta una testa di fattura classica mutilata è segno e metafora di un tempo, che, nello smarrimento della parte alta del bel capo femminile, sembra essere orribilmente manchevole del logos, che unito al femminile dell’universo, alla sensibilità, alla bellezza, non può che generare caos, non creativo ma distruttivo.
La lettura di questo libro è affatturante per molteplici motivi. Difficilmente una raccolta di poesie è tanti libri in uno e al tempo stesso un unico grande libro, direi senza esagerazione, epico, che cattura senza cedimenti e senza stanchezze. Ho provato e vorrei ora provare, insieme ai lettori, a ripercorrere o a individuare i motivi di questa affatturazione: innanzitutto la molteplicità delle componenti di questa suggestiva poesia. Abbiamo parlato del viaggio e di un particolare tipo di viaggio: il viaggio in mare. De Luca è come Odisseo, come Enea, che, attraverso peregrinazioni e tempeste e naufragi, seguirono la rotta, indicata loro o scelta per loro dal Fato; un Fato che, nel caso di Odisseo, si intreccia con la volontà stessa dell’eroe, con la sua incommensurabile curiositas della vita, con la sua voglia inesausta di conoscenza, una conoscenza di posti e persone, che diviene, come anche per il nostro poeta, che con l’eroe in più punti sembra identificarsi, conoscenza intima di sé, in quell’essere, diventare parte di un luogo e al tempo stesso non appartenere a niente e a nessuno, in QUELL’AVER CORSO SENZA TROVARMI, che è però un cercarsi incessante, nella solitudine dell’isola, nel naufragio, nella partenza e nel ritorno ad un’Itaca sempre in attesa, in quel sentirsi esule, clandestino, ULISSE IRREQUIETO MESSO ALL’INFERNO, IN QUELL’ESSERE NESSUNO alla ricerca del tutto, alla ricerca di un infinito, di un eterno, che sconfigga la provvisorietà dell’umano vivere: NELLO SGRETOLARSI DEL TEMPO VISSI.
Dunque, il mito, la bellezza della poesia greca, di cui questa silloge è impregnata. Sicuramente questo è uno dei suoi primi motivi di suggestione: le immagini sembrano schizzate fuori da un tempo lontano, da pagine omeriche, saffiche, come LE FANCIULLE DI SAFFO che RACCOLGONO CONCHIGLIE.
Ma non finisce qui. Il viaggio di De Luca continua nella sua città di origine, Napoli, e ci porta a S. Lorenzo, dove avverte, percepisce presenze vive di un mondo letterario, che non è fatto solo di carta: Petrarca, con la sua solitudine non solam, esattamente come quella del poeta, ricca di vita interiore e di amore per il sapere; Boccaccio, con la sua Fiammetta, e poi altrove Leopardi, con la dolcezza del suo naufragare nella bellezza della poesia.
L’elemento marino è il Mediterraneo, che è vita e sudario, purtroppo oggi per molti; un Mediterraneo che si umanizza e diviene, come molti, clandestino, MARE SENZA CONFINI, che ci racconta, attraverso il nostro aedo, la storia di ieri e quella di un oggi con la stessa drammaticità e la stessa vocazione all’accoglienza. De Luca si fa davvero rapsodo e coreuta di voci antiche e attuali, con la stessa identica passione di vita e di morte: L’UOMO CHE ERO MOLTI SECOLI FA / DIALOGA COL TEMPO INSULARE. Sicuramente a questa poesia non è estraneo il suo essere uomo del Mediterraneo, nato a Napoli e strettamente legato all’ISOLA PIÙ ISOLA, Ponza, ma viaggiatore dall’anima nomade, a Marsiglia, Lisbona, Istanbul e molti altri porti, in cui ha vissuto intere stagioni, incontrando luoghi ma anche poeti e artisti, ma anche pescatori, come quello magrebino, con cui ha condiviso le triglie e i racconti, ma anche il passato e le sue memorie.
C’è ancora un altro elemento, che risulta altrettanto importante, almeno quanto il mare, la terra, i vigneti, l’uva e il mosto, che fa parte altrettanto del suo vissuto; so che ogni anno Antonio rivive e fa rivivere ai più intimi amici il RITO del frutto che diviene vino. Ho usato non a caso la parola RITO, perché nel lungo viaggio che è questo libro, sembra che tutto sia RITO; anche l’EROS, che contiene in sé il segreto della vita e della morte, in quanto è UNIVERSO ASSOLUTO, sia pure per un attimo; ma in un attimo, si sa, si può vivere tutta una vita. C’è in queste pagine, sia che si parli di mare, sia che si parli di terre, di passato e di presente una SACRALITA’, nella quale confluiscono il senso magico della ritualità pagana e una ricerca di infinito, l’ineluttabilità greca del destino e la coscienza del tempo che si disperde; una sacralità, che è la LITURGIA DEI POETI, perché la poesia stessa è liturgia, rito, che nasce dall’amore per la vita, dono e dannazione, ma comunque meravigliosa avventura, che il poeta vuole condividere con noi o perlomeno con coloro che ameranno leggerlo e vivere la sua poesia, come in lui vivono poeti di ieri e di oggi.
E poi, e non è elemento secondario, perché ogni bella sostanza ha bisogno di una bella forma, che, come ci insegna Aristotele, è a sua volta sostanza, c’è il linguaggio, il ritmo, lo stile di questa poesia, che non conosce punteggiatura o quasi, in cui le parole, le immagini, i suoni si susseguono, anzi si inseguono, si incalzano, sempre conservando una nudità, una essenzialità, una chiarezza, che è propria della classicità. I suoni creano davvero una suggestione musicale, che si avverte, tangibile, nelle numerose, naturali allitterazioni. Qualche esempio per tutti: SCOGLI FRANTUMARSI E ONDE SOVRAPPORSI; RADICI INTRECCIATE ROMPONO LE ROCCE; SOGNO SFINITO SOLO QUESTO MI CONSOLA. Il poeta ci dice che NON OGNI PAROLA NECESSITA DEL PENSIERO, perché basta a se stessa, può cioè anche essere puro suono, canto, ed è già tutto.
Il passato, con le sue PIETRE CHE FURONO PALCOSCENICO E AGORÀ, il presente con la sua provvisorietà, LA TIRANNIA DEL TEMPO E DELL’ASSOLUTO, hanno un peso non indifferente ma è proprio la poesia, che compie il miracolo di tradurre in immagini e suono e colore e a creare leggerezza per la dura realtà dell’esistere.
Tutti questi elementi ci guidano in questo viaggio poetico, offrendoci una prospettiva di vita alternativa: una vita, che non vuole ricchezze, che non dà alcun valore alle certezze precostituite; una vita che cerca e che si cerca tuffandosi nell’avventura, nella sorpresa che ogni giorno può riservarci; nel mare, nel sogno, nel possedere una memoria, se non restiamo però chiusi nel nostro guscio, se impariamo a seguire la rotta, che ci conduce alla bellezza, ai valori che nessuna legge, nessuna educazione può far diventare veramente nostri, ai quali solo la poesia, di cui il mare è metafora, può farci approdare.
Maria Gargotta
Navigare la rotta a Ponza d’Autore
Da Ponzaracconta
28 LUGLIO, 2017
di Rosanna Conte
Pieno il bordo piscina, al Santa Domitilla, ieri sera per la presentazione dell’ultimo libro di poesia di Antonio De Luca, Navigare la rotta.
A chiudere il cerchio c’erano il giornalista Paolo Mieli, la critica letteraria Maria Gargotta, l’editore Sandro Teti, il professore Francesco D’Episcopo, che ha insegnato Letteratura italiana, Critica letteraria e Letterature comparate presso l’università Federico II di Napoli, e naturalmente Antonio De Luca.
La serata dedicata a Navigare la rotta è stata un’occasione di riflessione sul mar Mediterraneo, il mare per eccellenza, il mare amniotico della nostra cultura, cronotopo dell’animo dell’autore che in esso ritrova tutto quanto è vita: l’amore, il viaggio, il dolore, l’amore, il mito, ma principalmente l’altro.
Emblematica è stata l’apertura della serata con voci che hanno declamato in una pluralità di lingue mediterranee versi che ci hanno trasmesso, attraverso il ritmo e la musicalità, il senso avvolgente dell’onda ed hanno contemporaneamente fatto percepire in chi le ascoltava la continuità e contiguità dei popoli che si affacciano su quel mare.
Molto articolata la presentazione di Paolo Mieli che ha indirizzato la riflessione verso la casa, quella che Antonio ha giù al Fieno, il suo rifugio, la casa-eremo quella che crea l’isolamento adeguato per la riflessione e la composizione. E se, come ha confermato, l’autore, Ponza è la sua Itaca a cui desidera sempre tornare, questa casa ne è il cuore pulsante. Del resto, e noi già lo sappiamo, è il Fieno il luogo in cui affondano le radici culturali di Antonio De Luca. L’antica saggezza contadina e l’amore per la vigna li ha appresi lì, dai vecchi vignaioli e lì l’isola non è isola, ma il luogo da cui si svela il mondo, il luogo in cui si può tracciare la rotta di una vita in viaggio continuo, come quello di Ulisse.
E qui hanno concordato sia il presentatore che il professor D’Episcopo: l’arrivo ad Itaca di Antonio De Luca è gravido di tensione verso la pace, verso l’incontro, a differenza di quello dell’eroe greco che preannuncia la lotta e lo scontro.
Ognuno tende ad avere una casa che sia il ventre del ventre materno dove la pace sia vita, simbiosi, poesia.
C’è chi già l’ha trovata, come Maria Gargotta che legge e sente molto della sua città nei versi di Antonio. Napoli è la città del mare e del mito, ma anche della terra e dell’arte, della bellezza e della cultura mediterranea. E’ proprio in Napoli la sua casa-eremo, dove tende ad arrivare e dove non rimpiange l’altrove.
C’è chi se la sta preparando, come l’editore Sandro Teti, che non ne disvela le coordinate, ma non prevede il mare. In una casa-eremo il mare, tremenda forza vitale, anche se non è visibile, è presente nella sua simbologia.
C’è chi ancora non ha trovato dove costruirla, come il professor D’Episcopo, che, nato lontano dal mare, ha vissuto a Napoli ed ora è a Salerno.
Come per molti di noi, la percezione del mare è diventata abitudine. C’è chi sta bene solo a vederlo e quel luogo è la sua casa.
Ma forse per saper ben individuare la propria casa-eremo c’è bisogno del privilegio ricco dell’ozio e i divini doni della follia che appartengono solo al poeta padrone della povertà e della fortuna perché, pur non avendo regole, egli può riuscire a navigare la rotta imperscrutabile della vita attraverso la bellezza e la poesia che alitano sulla sua anima.
Quando i suoi versi ci avvolgono nel loro ritmo e nel loro carico di significato e anche noi possiamo intravvedere dove indirizzare la nostra rotta, la poesia diventa Poesia
Articolo su La Voce di Reggio Emilia
Articolo su H24 notizie di Clemente Pistilli