Naufragio di una civiltà, De Luca da Ponza a Tangeri

Fenici, cartaginesi, romani, arabi, portoghesi, spagnoli, inglesi.

Sono tanti i popoli che hanno vissuto e combattuto per Tangeri, lasciando il segno del loro passaggio.

In quella città cosmopolita sulle rive del Marocco, che si affaccia sullo stretto di Gibilterra, sta trascorrendo il suo tempo il poeta ponzese Antonio De Luca e vi sta trovando profonda ispirazione.

Quei luoghi, una delle sue tappe tra un porto e l’altro del Mediterraneo, lo riportano alla sua gioventù a Napoli, a Ponza, l’isola in cui ha ben salde le sue radici, e alle tante peregrinazioni che lo hanno fatto diventare il cantore della cultura mediterranea.

Riceviamo gli ultimi versi scritti proprio nel centro marocchino e dedicati a suo padre, un uomo che in mare, al comando di una nave, ha trascorso l’intera vita.

Naufrago di una civiltà
parte seconda

una giacca sgualcita
un pantalone largo
la macchina fotografica
qualche penna molti fogli
e in tasca un consunto Neruda
trovato in una bancarella di Napoli

è primavera
l’aria afosa d’Africa
a metà giornata il riverbero della luce
tra i muri bianchi delle case
sulla gente al caffè
tra le barche dei pescatori

Tangeri la ventosa
Tangeri la bianca
Tangeri la notte
Tangeri per cosa si vive

come un presepe
di quando ero bambino
quando per ore
stavo a guardarlo in silenzio
e dargli la vita

La mia stanza bianca
ha grandi finestre
le spalanco dove l’oceano entra nel Mediterraneo
entra la luce splendida del mattino
la luna piena della notte
entrano le grandi navi lontane
le voci della operosità degli uomini
il lamentoso canto delle tortore
le stagioni delle favole
la vita insieme senza saperlo

a Tangeri ogni gesto
porta un messaggio una memoria
corpi fatti di storia
di tante civiltà
ieri sera ho cenato con gente della Palestina
a Tangeri non siamo soli al mondo
e così sarò un uomo diviso

Di spiaggia in spiaggia
di strada in strada
di paese in paese
da sud a sud
mi sono separato
da tanta parte della mia vita
dalle ceneri della civiltà:

e per questo ecumene
risorgo oziando

ipotizzo sogno spero
dubito
scrivo lettere
e versi inconsumabili
amo l’amore che non dico
le illusioni

vedo altre vie altri mondi
altre visioni altre realtà
rivelazioni che portano a nuova sorte:

il naufrago è nudo
è un greco
e niente di lui si sa
lo nasconde l’onda
sulla sabbia di ritorno

la figlia di Alcinoo
è sull’isola dei Feaci
lo vede lo cura lo ama

Tutto è indefinito
dove l’origine resiste
la primitiva meraviglia
la terra ancestrale
l’istinto liberatorio:

mio padre mi parlò della comprensione:
mio padre raccontava
di mare di navi di porti
di naufragi e tempeste
della nebbia
di marinai e dei popoli della terra
della loro povertà e dei loro dolori
dei mendicanti sui porti

da quando scoprii gli storpi
e i miserabili della terra
la mia vita non fu più come prima
da allora un senso di impotenza e frustrazione
si è impossessato di me

E in disparte dal mondo
preferisco vivere
dove il tempo passa
come se dovessi
vivere per sempre

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