Marocco, tra profumi di arance e rose: il viaggio mediterraneo di De Luca/7

Sono storie scritte due anni fa come diario di viaggio

4 Il giornale di Mogador

Il fine della vita rimane la felicità. Penso ad Aristotele. E il linguaggio non è sufficiente ad esprimere quello che si prova nella vita. Ogni forma di linguaggio è un tentativo. Che serve. Ogni tentativo non preclude un altro. Senza fine. Un pensiero mai concluso. Scrivo d’istinto e se mi vengono dei dubbi mi perdo. Allora interviene la poesia. Perché è bene perdersi. Anche questo fa vivere.

Sulle lunghe spiagge a sud delle mura. Dopo il piazzale Orson Welles. Essaouira è tutta una lunga distesa di sabbia. Lunga vari chilometri e larga oltre un centinaio di metri. In alcuni punti molto di più. Molte persone ogni giorno vedo passeggiare lungo la riva. Soprattutto la domenica. Qualcuno sul cammello o anche a cavallo.

Di fronte alla spiaggia ci sta una piccola isola, l’ile di Mogador. Così una parte della spiaggia è riparata dal moto ondoso violento dell’oceano. E qualche vela di passaggio dà ancora.

Il fondale è basso per molti metri a largo. Una bambina invogliata dalla mamma ha il coraggio di tuffarsi e fare felici corse sulla battigia tra i piccoli cavalloni. Poi corre verso il largo nell’acqua bassa. Torna quando la madre la chiama. L’acqua è fredda ma la bambina non lo sente. I bambini li vedo anche tra gli scogli della bassa marea a scovare vite misteriose di granchi e paguri. Due donne si avventurano in windsurf.

Io indosso dei pantaloni corti. Ma per me l’acqua è gelida. Anche se resisto, e il corpo si abitua. La domenica mattina questa spiaggia diventa tutta un campo di calcio. Tanti campi di calcio. Con le misure che variano in base all’età dei calciatori. La gente si ferma lungo il muro che divide la spiaggia dai camminamenti. Assisto a vere partite di calcio. I grandi occupano la parte superiore della spiaggia. I grandi sono tutti rigorosamente vestiti con accurate divise. Ci sta la terna arbitrale. L’entrata in campo. Gli allenatori sulle debite panchine. E soprattutto gli applausi dei presenti. Manca l’erba ma la sabbia compressa, permette comunque una buona gestione della palla. Niente di innaturale insomma.

Anche a Ponza giocavo sulla spiaggia. Tutto l’anno. Il mondo fu la spiaggia. Tra le barche abbandonate e lasciate a morire. La spiaggia con qualsiasi tempo. La spiaggia che cambiava dimensione in base alle stagioni. La rena addosso ogni giorno per tutti i giorni dell’anno. L’universo della meraviglia. Ogni giorno la spiaggia aveva un aspetto diverso. Un teatro che cambiava palco. Atti di disordine che partorì l’essere poeta. Il demone. Penso a Quasimodo.

Su questa lunga spiaggia, dopo le mura di Essaouira, le misure dei campi per i grandi rispecchiano quasi le misure standard per un campo di calcio. Ai bambini di varie età spetta la parte bassa della spiaggia verso la battigia. E anche le dimensioni del campo sono ridotte. Ma nulla, in tutto questo è dovuto al caso. Tutto mi sembra ben organizzato. Tutta la gioventù di Essaouira, e non solo, è qui su queste lunghe spiagge.

Ormai dal primo giorno che li vidi giocare questi ragazzi, è piacevole assistere a qualche partita. Seduto sul muretto come i tanti, sto tra turisti competenti e gente del luogo. A tifare e godere spesso di un bel gioco. Molti ragazzi hanno un bel palleggio e una certa eleganza nel portare palla a testa alta. Una fisicità armoniosa e spesso un ottimo dribbling. Ma soprattutto non ho mai assistito a brutti falli o cattiverie, e violenza di alcun genere.

Trascorro così sotto al sole dell’Atlantico un’ora della domenica mattina. Qualche bancarella vende ceci lessi. E spremute d’arancia. Sono solito prendere un piattino di questi legumi. Giusto per omaggiare l’ambiente. Poi mi addentro nella Medina. Sedere ad un caffè, e nel brusio di qualche passante, sfogliare una lettura. In questi giorni leggo Steinbeck, In viaggio con Charley. Così mi addentro con Steinbeck in un’America diversa. E poi mi piace come scrive Steinbeck. Appunto inoltre qualche idea sui tanti diari che mi porto dietro, in attesa che il demone esca e suggerisca qualche verso.

Ieri sera sono stato dal barbiere. Mi piacciono gli ambienti delle barberie. I loro riti, ripetuti con estrema lentezza e precisione. Come se si stesse ad un sacrificio per qualche divinità. Da Lisbona a Tangeri, da Istanbul a Marsiglia, da Buenos Aires a Valparaíso ho le mie barberie a cui sono devoto. Mi piace stare in questi piccoli teatri dove si recita spontaneamente spettacoli di gente qualunque. Il chiacchiericcio, il silenzio e i discorsi appena accennati ci fanno capire un mondo. Ci deve essere il panno caldo sul viso, la crema che apre i pori, il massaggio leggero con estrema delicatezza. Profumi, creme, saponi, pennelli e lame. Tutti questi oggetti tenuti con cura e maneggiati con sapienza e arte. La lama del barbiere non va a caso. Ma segue la direzione dei peli. La lama è accompagnata dalle dita del barbiere. In ogni angolo del viso il barbiere esegue i suoi rituali. Sicurezza e delicata movenza della mano. Esco dal barbiere e mi sento un altro. Pronto ho il viso a ricevere la brezza salata che arriva dall’oceano. E la luce brillante del caldo sole di questi paralleli. All’uscita della barberia ci salutiamo come se ci conoscessimo da sempre. Il barbiere di Essaouira mi chiede se ho bisogno d’altro. È pronto ad offrirmi la sua disponibilità a risolvere ogni perplessità.

Il pranzo è al porto dopo aver girato tra barche, uomini, banchine e ogni tipo di pesce ovunque. Un inferno. Il porto quando arrivano i pescherecci e le barche col pescato diventa un inferno. Si riempie di gente, camion, carretti di ogni misura. Pozzanghere e residui del pescato ovunque. Tutti vendono. Tutto il mare si trova. La catena alimentare marina è completa. E la vista è bellissima. Anche se i mestieri e le pozzanghere al sole spesso emanano odori puzzolenti. Ci sono gatti dappertutto. Ogni cosa accade come in un documentario. Una recita a soggetto. Ogni pescatore espone in un angolo del porto il suo bottino. Centinaia di pescatori indaffarati in un porto stracolmo di barche di ogni misura. E gente dappertutto. Mentre migliaia di gabbiani volano a bassa quota ovunque a sfiorarti. Le voci, le grida delle persone diventano un coro di una commedia giornaliera. Un coro che recita versi di una esistenza di fatica e avventura. I poveri si avvicinano ai pescherecci per avere il loro cibo quotidiano. Sono quasi sempre grosse sarde.

Il mio pranzo avviene come al solito in uno dei posti sul porto debitamente organizzati e controllati dalle autorità. Questi ristoranti-baracche in legno sono tutti rigorosamente in fila e uguali. Sono ben decorati e puliti. La gendarmeria l’ho vista passare a controllare. Il vino è rigorosamente vietato. Qualche francese ha una bottiglia di vino nascosta sotto il tavolo. A suo rischio. I banchi del pesce si contraddistinguono da un numero. E soprattutto dalla simpatia e onestà nel proporre e cucinare dei gestori. Tutti ti chiamano e insistono affinché scegli loro. Anche questo è un teatro. Il primo giorno è simpatico poi mi infastidisce alquanto. Ma ormai mi conoscono ed è difficile che mi faccio fregare. Non insistono più di tanto. Qualcuno è un farabutto e neanche lo guardo. Quelli del posto numero uno sono delle merde. Una volta mi cambiarono il pesce che avevo scelto. Dopo un primo passaggio tra i banchi. Di solito scelgo chi ha una bella granseola vispa e irrequieta, e qualche rossa triglia, con ancora squame lucenti di mare. Il pesce me lo scelgo e me lo pesano. A volte mangio solo sarde. Quando le vedo grosse e sode.

Il profumo della sarde arrosto, è un odore che mi accompagna lungo il Mediterraneo e non solo. Ovunque ci sta il mare ho trovato le sarde. Tra le strade delle città sul mare, ai bordi dei porti, dal nord della Spagna fino alla Mauritania. Nella stagione propizia le sarde profumano sui carboni ardenti. Un profumo che inonda come un fiume in piena, i vicoli dei porti. E i margini delle città a mare. Arriva dai mercati, dalle trattorie all’aperto, ma anche delle case.

La città di Lisbona, nel quartiere dell’Alfama, nei giorni di metà giugno. Si offrono sarde arrosto a tutti i passanti. La cottura avviene in speciali e occasionali contenitori di ferro appositamente costruiti per questi eventi. E lasciati fuori casa, nelle logge, tutto l’anno. Alla Alfama di Lisbona diventano parte del paesaggio urbanistico. Devo dire che nella città di Matosinhos, a nord di Porto, ho mangiato le più buone sarde. Poi una insalata mista e obbligatoriamente senza vino. Il vino lo bevo la sera da Taros. Un locale di francesi con terrazze sul porto. Taros è il vento che spira dall’oceano. A volte inquieta. Soprattutto se arriva nel primo pomeriggio.

Su queste coste atlantiche i pescatori devono essere soprattutto dei bravi navigatori con l’avventura nel sangue. Le barche d’ogni dimensioni hanno un elevato pescaggio e una prua alta. Pescare in questo mare per noi mediterranei può sembrare ogni volta una vera un’avventura. Ci sono paesi lungo la costa ai margini delle spiagge che non hanno un porto. Ed ogni volta le barche vengono tirate a secco sulle spiagge. Spesso vedo barche squarciate in modo irreparabile. Le reti, tra i mestieri di mare sono le più utilizzate. Tutti partecipano a portare in secco le barche. Per i bambini è sempre una festa l’arrivo di una barca. Che deve attendere l’onda giusta per avvicinarsi alla battigia. In pochi istanti la barca è a secco.

I pomodori nella insalata, da queste parti sono callosi e dolci. Sono sempre profumati. Ma soprattutto mi piace il loro vero sapore di pomodori. Il sapore del pomodoro che si mangiava da piccoli.

I gabbiani qui fanno da scenografia e colonna sonora. Spesso possono arrivare molto vicino al tavolo mentre si mangia all’aperto. Sarà il sole d’Africa. Qui i gabbiani sono dappertutto. Sarà anche per la grande quantità di pesce che trovano ovunque. Sono aggressivi e decisi. Anche di notte li sento.

Anche di gatti ce ne sono molti ovunque. Soprattutto al porto e nei vicoli e piazze adiacenti. Se ne stanno al sole tutti i giorni. Si spostano in gruppo. Molti sono malati. Non hanno padroni né chi se ne prende cura. Ma hanno sempre da mangiare. Il porto è un grande magazzino di cibo per tutti.

Con la bassa marea già al mattino presto. Vedo uomini con mezzi molto approssimativi che si dirigono al mare. Hanno grosse camere d’aria di ruote come salvagente. Questi sono anche utilizzati come recipienti. Con una rete centrale legata che accoglie il pescato.

Direzione scogli. Vanno a raccogliere i ricci. Sono di solito persone umili, e di una età avanzata. Povera gente che per vivere affrontano ambienti difficili con temperature del mare molto basse. Indossano delle tute rozze e consunte.

Domani un venditore di coperte di lana di cammello mi ha dato appuntamento. Dice che mi porterà una bella coperta. Così come mi piaceva dalla foto. Queste coperte sono leggere e morbide. E danno calore. Qui si utilizza molto la lana di cammello, soprattutto per la djellaba. La tunica col cappuccio. Il vestito africano. Anche io ne ho uno. Lo indosso nel deserto. Da ragazzo mio padre me li portava dalla Algeria e dalla Libia.

Durante il giorno, a parte il vento, non fa freddo. Ma durante la notte la temperatura può scendere di qualche grado.

Durante il giorno bevo spesso spremute d’arance. Ovunque si possono trovare. Ci sono carretti che le fanno sul momento. Posso decidere la quantità e la grandezza del bicchiere. Sono zuccherose e fresche. Di solito ho il mio carretto di fiducia. È all’entrata del porto. Mi conosce e si ricorda di me, anche a distanza di tempo. Qui la gente è così. Si ricorda di chi esprime gentilezza e gratitudine. Chi ha qualcosa da dire. Chi dice una storia.

Non do mai l’impressione di essere un turista. Ma un viaggiatore che si ferma. Divento uno di loro. Il Marocco è un grande produttore di arance. E ovunque ci sta profumo di arance, oltre a quello delle rose.

La settimana prossima farò un viaggio tra i monti dell’ Atlante. Direzione il deserto al confine con l’Algeria.

A Mogador non ci stanno rumori come a Marrakech. Le strade sono larghe. La città fu fondata dai Portoghesi, e disegnata dai francesi. Quindi rispetta un’architettura diversa. Le strade sono larghe e fiancheggiate quasi sempre da portici. Le case sono di stile europeo. Ma non manca la casa araba. Ho abitato in sontuosi Riad.

Da Mogador partivano gli schiavi verso le Americhe. Il tempo risuona ancora di quei canti e silenzi. Jimi Hendrix volle passare di qua a conoscere quelle note. Da allora qui vengono musicisti da tutto il mondo. E Jimi Hendrix ha lasciato il suo mito. Ci sono gallerie d’arte dove Hendrix è protagonista.

Qui ci sono molte gallerie d’arte. La presenza di artisti è forte. Pittori, incisori, scultori. Artigiani locali e non. Molti sarti. A Essaouira ogni anno si fa un festival di musica africana. La musica Gauna. Quella degli schiavi. Per questo Hendrix venne qui alla ricerca delle voci di quella gente. Anche per questo qui vengono artisti e avventurieri, bohemien e hippie da ogni parte. Mi hanno detto anche molti anarchici. Oltre ai Rolling Stones, Bob Dylan, Leonard Cohen, Lou Reed e altri.

A Essaouira nella parte nuova della città ci sono molti alberghi e case turistiche con banche e servizi. In estate la città ormai è un luogo molto frequentato, non solo da marocchini ma da gente da tutto il mondo. Qui a Essaouira sto facendo un tentativo di vita. Una via di fuga. Permanente. Che mi faccia vivere nell’altra parte di me. Quella non visibile. Lo spazio del tempo. La via pagana. La porta verso un mondo di dei e di miti. Oggi sono qua perché domani sarò ad altrove. Alla fine della strada solo l’amore. Amore è poesia ogni giorno: lessi a Tangeri su un libro del poeta Ramon Jimenez. L’amore e la poesia sono due miracoli. Senza di essi la vita è impossibile. E poi bisogna essere degni. Fieri di essere sognatori. Anche questo succede a Mogador.

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