Leucotea ritorna a Ponza Un’altra vita è possibile

Con i “Dialoghi con Leucò” Cesare Pavese indaga e riafferma l’irrinunciabile appartenenza dell’uomo al mito: un mito che ci appartiene e ci eternizza. Pavese -come, tra gli altri, Borges e Camus- attraverso il mito, analizza le angosce e le esperienze dell’uomo moderno. Non può esistere l’uomo senza la costante ombra del mito. Uomo e mito camminano insieme. Il mito è l’origine della vita: al primo vagito dell’uomo, il verso è già mito. Il mito dissolve e trascende lo spazio e il tempo, intreccia le sorti della vita e ne fa il destino dell’uomo.
Così Pavese traspone nella modernità e nell’attualità della vita contemporanea la mitologia greca. Egli aggiorna e rivitalizza il mito, dando parola ad eroi, streghe e dee.
Anche Pier Paolo Pasolini -con opere quali ad esempio l’Edipo Re- utilizza il mito per spiegare la realtà e denunciarne le storture, i limiti. Gli stessi Pasolini e Pavese si fanno mito.
Eppure Il mito non mi affascina e coinvolge solo dal punto di vista poetico e letterario, ma anche filosoficamente dal punto di vista esistenziale, come presenza continua nella vita reale. La vita è mito, il mito è la vita. Il mito ed io abbiamo la stessa casa. Mi appartiene anche attraverso l’esistenzialismo di Albert Camus ed Ernesto Sabato.
Alcuni anni fa trovandomi nei pressi di Corinto ho visto un vaso in ceramica che riportava l’immagine di un Ulisse salvato dalla dea Ino, come raccontato da Omero nell’Odissea. La dea che salva Ulisse e lo fa sbarcare sull’isola dei Feaci, da cui poi raggiungerà Itaca. Col tempo il nome della dea Ino diviene Leucotea. Leucotea è una divinità marina greca, letteralmente “Dea bianca”, colei che viaggia tra la spuma bianca delle onde. Leucotea è la protettrice dei naviganti e di tutti coloro che attraversano i mari e raggiungono i porti. In ambito romano questa divinità viene poi associata alla Mater Matuta, la madre di ogni cosa, l’aurora, la luce, colei che protegge. Spesso la dea viene rappresentata con un bambino in braccio, dea genitrice che protegge l’essere umano. Molte erano le donne che pregavano la Mater Matuta per avere figli o maritarsi.
Ho iniziato a ricordare la figura di Leucotea con attenzione quando ne ho rivisto una raffigurazione al museo etrusco di Villa Giulia e mi sono immerso in una straniante dimensione. Mi è accaduto quello che avevo già sentito -per dirla alla Dumas- la prima volta al Museo archeologico di Napoli: quello che fino a qualche minuto prima era solo arte, forme pure e primitive, erano diventate realtà viva, quotidiana e totalizzante.
L’archeologia moderna e le ricerche degli ultimi decenni hanno rinvenuto lungo tutto il Mediterraneo e anche lungo il litorale laziale vari templi con statue ed altari dedicati alla protettrice dei naviganti, appunto la Ino-Leucotea omerica. Greci, fenici, romani e non solo, pregano e innalzano templi lungo le rive mediterranee alla dea Leucotea.


Sappiamo, grazie ai più recenti studi, che l’isola di Ponza in epoca greca e soprattutto romana, non ha avuto soltanto un’importanza strategica in quanto snodo commerciale e militare, ma anche in quanto meta prediletta di imperatori e aristocratici dediti all’otium.
Purtroppo successivamente Ponza è stata depredata di tutte le antiche ricchezze per opera di pirati, invasori e monaci -insofferenti nei confronti di quanto non apparteneva all’elitaria verità monoteista-, per poi essere abbandonata all’incuria dell’attuale classe dirigente. Nonostante sia giusto constatare che qualcosa di importante in tal senso era stato intrapreso dalla giunta del precedente sindaco Piero Vigorelli, nel tentativo di conservare quanto rimane di un importante patrimonio identitario e renderlo fruibile alla collettività. Di 800 anni di storia prima di Cristo e dei 500 successivi anni niente rimane, se non minimi resti, soprattutto nell’apparato delle cisterne che rifornivano acqua alle flotte romane e nelle vasche di allevamento dei pesci. Ma il mare ha conservato abbastanza bene alcune navi romane, greche e fenicie e delle loro mercanzie utili per capire l’importanza dell’isola di Ponza nei traffici mediterranei.


A Ponza negli anni ‘60, ‘70 e ‘80, molti di noi ragazzi passavamo gran parte del tempo per strada o per mare. Scorrazzando e giocando per le strade del paese, capitava di imbatterci in grotte ed edifici abbandonati, semiaperti, luoghi dal sapore quasi mitico, in quanto luoghi di incerta identità per i bambini di quelle generazioni. Così, spesso ci avventuravamo in grotte ignote e buie, spazi dominati da insolite forme architettoniche e dal silenzio, come fossero abitati da creature immaginarie. Questi luoghi misteriosi -tra cui le famose grotte di Pilato, antiche peschiere di età augustea- diventavano luoghi di esplorazione e di sogno. Avevamo solo il bisogno ancestrale di scoprire e conoscere l’appartenenza all’ignoto, alla meraviglia, al regno dell’indicibile, in un territorio che ci apparteneva. Era un inconscio apprendimento del mistero e della bellezza.

Una di queste spelonche abbandonate si trova ancora oggi, anche se chiusa, a pochi passi dalla spiaggia di Sant’Antonio, a poche decine di metri dal tunnel. Questa grotta ha una e struttura architettonica per cui si può ipotizzare fosse un antico tempio, anche se ormai del tutto spogliato: un tempio a pochi passi dal mare. Parlando con il Dott. Vincenzo Bonifacio -autore dell’importante libro “Pontio, l’isola di Pilato. Dal mito alla realtà” (Ed. Vianello)-, e con l’architetto Giuliano Massaro, anche lui autore di autorevoli libri sulla storia di Ponza, abbiamo convenuto sull’ipotesi della grotta-tempio, dedicata per la sua prossimità al mare a una divinità marina, con molta probabilità alla dea Leucotea. Situata a pochi metri dal mare in uno dei porti più centrali del Mediterraneo occidentale, era vitale per il popolo la presenza di una divinità che assicurasse coraggio e destino felice ai marinai e viaggiatori etruschi, fenici, greci e romani, considerando anche che ne esisteva un altro nella non lontana Cerveteri. Inoltre la presenza di importanti ville nella strada sovrastante la grotta e la presenza della grande villa di Augusto a punta Madonna, con annesse peschiere per l’allevamento del pesce, supporterebbero tale ipotesi.
Alcuni anni fa ho fatto costruire, al mio ritorno dalla città di Volubilis -città fondata da Annibale e poi rifugio di Marco Aurelio- un piccolo altare tra i vigneti del Fieno, con pezzi di ruderi di età romana, abbandonati nelle varie discariche dell’isola, e vi ho posto l’immagine della dea Leucotea nuda, così come l’avevo vista sul vaso di Corinto. Svestita perché le sue vesti erano diventate le vele della zattera di Ulisse durante un naufragio.
Inoltre sul tetto di casa ho scritto in greco omerico “Ino Poiemata” -il fato ha voluto perpendicolare e a pochi metri dal presunto tempio-, a ricordare quanti scampano alla furia del mare. Il destino ha voluto anche che a pochi metri dalla mia abitazione e della grotta-tempio vi abitò durante il confino fascista il socialista Sandro Pertini, successivamente Presidente della Repubblica.
Mare di ieri e di oggi, mare di sempre. Mare metafora della vita. Leucotea è ancora qui. Un altra vita è possibile per tutti. Il Mito resiste. Col mito percepiamo la realtà tramite il sogno e il sogno serve per una vita migliore, per perpetuare la nostra presenza. E spesso la storia può tornare indietro, come ebbe a dire il prof. Luciano Canfora. Il mito muove la storia, rende visibile l’invisibile. E nell’anima può accadere di tutto.

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