La mia balenottera comune mediterranea era sacra agli Dei

La conoscenza e il rapporto, sia letterario, naturalistico e direi anche metafisico con i cetacei, iniziò con la mia prima lettura di Moby Dik. Dico prima volta, perché sono alla quarta lettura, ed ogni volta mi appaiono nuovi scenari. Avevo circa 6 anni quando vidi la prima balenottera soffiare sulla rotta Napoli Cagliari. Mio padre in estate ci portava a navigare con lui. A 10 anni stravedevo per Conrad, poi venne Melville ed Hemingway e le storie dei miei nonni, capitani di bastimenti sulle rotte mediterranee. La balena da alloŕa entrò nella mia vita. Si fece metafora e mito di una esistenza da viaggiatore letterario e non solo. La letteratura sudamericana di Francisco Coloane mi ha accompagnato nel mio primo vagabondare, tra mari tempestosi, cacciatori di balene e gente che vivono ai margini della terra, dove più lontano non si può.. A Lisbona conobbi Paul Watson, l’ambientalista canadese fondatore di Sea Shepherd, l’organizzazione mondiale che con la sua flotta difende le balene dalla caccia nei mari di tutto il mondo. In quell’evento conobbi anche una organizzazione ambientalista spagnola che agiva nel Mediterraneo durante gli anni più difficili per questo mare. Erano gli anni delle reti derivanti, che provocarono la grande macelleria dei cetacei. In Italia collaboravo allora con le associazioni ambientaliste Marevivo e Legambiente, e a Ponza non ebbi pochi problemi. Tra minacce varie e pedinamenti ero costretto ad agire a volte come un partigiano. Una amica spagnola mi chiamava in quell’estate el partidario de las ballenas. Un giorno mi arrivò in un pacchetto persino una cartuccia da fucile da caccia. Fui anche minacciato che mi avrebbero incendiato casa se non l’avessi smesso con quell’ambientalismo.

In quell’anno era morta al largo di Ponza una balena avvolta in una rete derivante. Ero arrivato a conoscere, la barca e i responsabili involontari di tale episodio. Mi interessava fotografarla, e denunciare alla stampa e ai media tutti il caso, ma la sua carcassa fu riempita di pietre e affondata a poche miglia a sud dell’isola di Ponza. Con l’aiuto dell’organizzazione ambientalista spagnola Oceanaria, tramite una rete satellitare, riuscimmo con la mia amica spagnola ad avere la approssimata posizione del luogo del misfatto. Una volta arrivati sul posto con il catamarano di Oceanaria non fu avvistato nulla, se non uno stormo di gabbiani fermi sull’acqua. Quell’anno in inverno partii per l’Argentina, volevo raggiungere la Penisola di Valdes e dintorni, per andare a fare visita a quei mari. Ma soprattutto per avvistare la balenottera azzurra, la preferita di Francisco Coloane. A Buenos Aires feci un corso presso un Istituto Statale per avere un giusto e sano comportamento nell’avvicinamento ai cetacei e fotografarli. Non potevamo avvicinarci a più di 100 metri, in quanto la balena azzurra in quei mari nuotava con i cuccioli. Ma problemi familiari mi costrinsero a interrompere d’improvviso il mio viaggio e dovetti fare ritorno a Ponza. Era il mese di febbraio del 2006.

Ritornato a Ponza, un pomeriggio mi trovavo nella mia casa-rifugio di Punta Fieno a sud dell’isola, dove amo coltivare la vigna. Quando improvvisamente il contadino Liberato Mazzella chiama la mia attenzione a guardare il mare sotto casa. Ebbene ad un centinaio di metri dalla scogliera sotto casa, apparvero due balenottere comuni mediterranee. Stavano sotto casa mia, nuotavano nei paraggi, sentivo bene il loro nuotare e i movimenti della coda sul mare. Ma soprattutto sentivo il loro respiro. Riuscii a fotografarle. Per circa mezz’ora le due balene stanno nel mare antistante la casa-rifugio, poi si diressero a mezzogiorno dell’isola di Palmarola. Forse era una madre con il figlio, viste le dimensioni delle due. Mai un cetaceo di quelle dimensioni si era avvicinato così tanto alla costa dell’isola di Ponza. Nessun pescatore anziano, da me intervistato in quegli anni, mi disse che era stato a conoscenza di un simile avvistamento. Cosa mi avranno voluto dire quelle due balene a pochi metri dal mio pensatoio. Perché proprio a me e in quell’anno?

Passarono circa due giorni quando l’amico Salvatore Perrotta, in una sua passeggiata sulla spiaggia di Chiaia di Luna, mi dice di aver trovato i resti di una balena. La parte finale della colonna vertebrale avvolta nei resti della pelle. Ci recammo subito insieme sul posto. Il nostro primo pensiero ci rimanda all’estate precedente. A quella balena affondata che io cercavo di fotografare. Allora ci organizzammo per trasportare quei resti alla mia casa rifugio. Visto il peso e le dimensioni, dovetti tagliare quei resti a due vertebre alla volta. Trasportai sopra l’asino quelle vertebre fino alla casa-rifugio. Li li lasciai alcuni anni legate ad un palo ad asciugare. Le vertebre ancora avvolte tra pezzi di cartilagine, ma anche tessuto carnoso, lasciarono cadere grasso per molti anni, prima di asciugarsi definitivamente. La terra sotto di essa diventò nera. Ora in quel posto ci ho messo una campana che il vento fa suonare a ricordare quella balena. L’idea la ebbi a Valparaiso in Cile facendo visita alla casa-museo di Pablo Neruda. Il poeta fuori casa aveva messo una vecchia campana di una nave naufragata, che il vento dell’oceano faceva risuonare. A questa storia vera si possono dare tante spiegazioni e immaginare tutto e di più.

A me rimane il suono di quelle balene sotto casa. Cosa avranno voluto dire quelle due balene? Forse a chiedermi di dare una sepoltura a quella loro compagna morta l’estate precedente, a cui legai il mio impegno alla lotta per la loro protezione. Voglio pensare come quei popoli ai margini dei continenti nel mondo, dove le balene hanno una casa, in quei luoghi che non sono segnati su nessuna carta, come ricorda Melville. Le balene hanno un’anima e il loro spirito vive anche dopo la morte. Lo spirito di quella balena ora continua a vivere e mi fa compagnia nella mia casa-rifugio sulla scogliera davanti al Mediterraneo, e questo luogo è diventato anch’esso un luogo non segnato sulla carta. Le balene di tutto il mondo sono sacre, sono care agli Dei. E grazie a quelle due balenottere comuni che vennero a chiamarmi, la mia casa-rifugio appartiene alle balene di tutti i mari. Li si conserva il loro spirito.

Libro consigliato: Il naufragio della baleniera Essex di Owen Chase

Pubblicato su Diari di Palude

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