Le mie pubblicazioni

Ho una sola patria, il Mediterraneo che scrivo.
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Lo spirito mediterraneo ok

A Tangeri
ho una piccola valigia

dentro porto
un taccuino la macchina fotografica
molte penne
un libro di poeti del Marocco
un’altro di Fernando Pessoa
(Pessoa non vuole che io rimanga da solo)
a Pessoa devo riconoscenza per avermi dato una strada
dove non vedevo che un sentiero

porto con me anche un’idea di Albert Camus
che mi ossessiona:
che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no

Così ogni mattina attendo l’alba
passo da finestra in finestra

il finire della notte misteriosa
sulla città portuale
è una liturgia

sento il rumore delle acque
la schiuma dei cavalloni
i motori delle barche
sento i gabbiani e i colombi
il richiamo alla preghiera
i sapori della cucina
l’odore del sapone per il bucato

vedo le luci delle navi passare sull’orizzonte
e una solitudine mi sovviene:
Il volto reale del tempo
la terra che attende
il mito
penso al disordine dell’umanità

dal dolore viene la conoscenza
lessi in Platone
la pazienza di esistere

Poi mi vesto di un gran bene
del preferito color avorio
e vado per la città

per la vita segreta
nel non sapere dove andare
la vita del disordine dell’anima

in questa città
ogni cosa ogni persona
mi sta vicina
non ci si volge dall’altra parte
non si fa finta di niente

in questa geografia di mescolanze
la rivelazione è una sorte
il regno delle cose antiche
la dignità della povertà
l’urlo di essere liberi

mi saluta la gente
come uno di loro

un rifugiato dal mondo
nativo di un’isola

Tangeri ha il cuore beato
di chi a tutti aprì le porte

Sono uno straniero
dico da dove arrivo
tutte le miglia che ho percorso
i porti e gli uomini di mare
che ho conosciuto

sento la devozione e il mistero
l’estasi di esistere
e di perdermi
l’amore che estrania

l’uomo che pensa
e dice no

scrivo
che bisogna vivere
vivere tutto quanto

fare presto

Stanotte
ho buttato giù questi versi
perché
non sono più andato via da Tangeri

…. a presto

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Eudaimonia

Tanti paesaggi e tanti mari
è questo il Mediterraneo
che conobbe il bambino che fui

tante civiltà e tanti popoli
ma una sola casa
la casa dove lasciai il cuore
la casa dove nacque il pensiero
le tante lingue
i tanti sapere
i primi cammini per le sconosciute rotte

è tra queste rotte
che nasce e vive
la virtù e la conoscenza

le tante anime
tutte diverse e tutte uguali

la mia anima
l’essere rimasto figlio di questo Mediterraneo
labirinto rivelatore
che nulla spiega
ma tutto dice

e poi le tante isole
la loro origine
la loro natura
ognuna con il suo fato

le isole
sono spiritualità
sono libertà
le isole non hanno confini
galleggiano sulla terra

un’isola
è l’ossessione della solitudine
un isola è meditare
è pensare è amare
è scavare

isole come spazi deserti
in silenzio di lamenti
tra templi e rovine
in un quadro di De Chirico
lunghe ombre
di un passato
oggetti misteriosi e sognati


le isole sono manifesti di vita

che io mi senta nomade o gitano
berbero o boemo
sempre esiste un’isola
su cui torno

l’isola dei miei primi anni
l’isola degli avi
la terra che attende e non dice parola

arrampicata sul fianco di una scogliera
sta la mia esistenza
l’amore per la natura
per la libertà
per gli esseri solitari

il tavolo per l’accoglienza
il vino dono di Dioniso

dopo una tortuosa salita
poche stanze semi spoglie
colme di luce
e dei molti libri

muri con la calce scrostata
di una decadente età
come le paratie di una nave incagliata
come le vestigia di antiche civiltà
il cui pensiero sempre ritorna
a portare la vita

qui solo i bisogni essenziali
la gioia e la sofferenza
una malinconia che rende felice
lo sfinimento della fatica
la sacralità delle cose

qui si amano il silenzio e le idee
e non sempre si ha una ragione
una consapevolezza dell’agire

c’è sempre la meraviglia
per un esilio voluto

qui ho portato l’anima di una donna
da una spiaggia lontana
di un mare segreto
la sua origine la sua essenza
il viso scolpito dalla vita
il racconto dei sogni

lei che mi pensa
mentre io non dormo

le isole sono risposte
alla vita
per gli esseri rari

in inverno
il salmastro nell’aria
metafora del viaggio
cade sulla mia faccia
sui vestiti
il vento freddo inveisce sulla piccola casa
sugli ulivi i cipressi e le palme
sui terrazzamenti fitti di vigneti
sulla selva che tutto circonda
e tutto è tormento
sbattimento paura
inquietudine
salvezza
provvisorietà

la sera a lume di candela
si può essere mistici
stare in una casa davanti al mare
davanti a un braciere
quando fuori imperversa
l’uragano
l’urlo della terra alla sua fine
allora si prega si chiede
si esplora e si attende
si ascoltano i maestri del pensiero
si accarezzano i cani
si stringono le braccia di chi si ama

nei giorni di bonaccia invernale
metto il sego ai remi
e vado a pescare

solo
lontano dalla costa
in mezzo al mare
il mare sudario
una piccola barca e la lunga lenza
in balia delle correnti
il canestro con i pesci e la tanta memoria
la memoria dei vecchi
lo stupore sulla distesa quiete marina
il silenzio della creazione

in questo paesaggio estremo
della vita ho fatto una rivolta
ho dato asilo all’invisibile
ai miti e alle leggende
alla vita segreta
alle anime dei morti

e tu Sole, padre mio, 3
fa che il Fato
mi sia sempre favorevole

1) in greco antico Eudaimonia, da eu ‘buono’ e daimon ‘ genio o demone’, è la felicità che dà il daimon. Il daimon è l’energia che assegna all’uomo il proprio destino.
2) in corsivo da Cesare Pavese
3) da Vladimir Majakovskij

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Quanto basta

La parola di un poeta
è essenza del suo essere
1

Lei ha gli occhi
che aprono lo stato
di tutte le cose
una fisicità olimpica
rivelata dal mare
conosce l’arcano e il primigenio
non ha la bellezza normale
ha la rarità e la grazia
la unicità dell’amore

è fragile e potente
surreale
rara e magnetica

due eternità in un labirinto
dimenticate
si incontrano

sono camminatori
sognano la strada

spontaneamente mistici
amano la protezione del silenzio
la casualità
la narrazione
evocano il Mito dove tutto accade
lo spirito del luogo
il gusto dell’infinito
la malinconia e il desiderio

tutte le lontananze

quanto basta:
necessario e fatale
a durare tutta la vita

1 da Alexander Sergeyevich Pushkin

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Inno alla dea

Fa che possa o dea
sempre tornare
lì dove
laggiù sta l’ isola mia
e dove tutto ebbe inizio


sul mare di fuori
cinta dalle onde instancabili
all’ orizzonte invisibile
dove il mondo più non si conosce

nel silenzio delle isole
sta l’origine delle cose
l’origine mia della stirpe marina

nelle isole si attende
ci si allontana e poi si ritorna
il tempo scorre ma non conta
i morti sono sempre vivi
le isole sono le finestre sempre aperte sulla terra

sulle isole ci si incontra
con gli indovini e le maghe
le sirene e le muse

a Delo fu partorito Apollo

dalle rive di altre terre e di altri mari
vagabondando abbandonato come un flaneur
il viaggio scoprii
per nuovi popoli e altre vite
ma sempre
da queste rive
il pensiero va
ai muri della mia casa di pietra
come ruderi di una persa civiltà
portate con le giovanili e forti braccia erranti
ai margini di una scogliera
di un piccolo anfiteatro della valle
sull’aperto mare

dimora solitaria
e sperduta la mia
tra lentischi e mirto
ulivi e alloro
in quell’isola piccola
e lontana

ora sola è la casa
senza di me
sferzata impotente
davanti alle onde tempestose
sotto il cielo nero
che più le stelle non vediamo

penso a quei muri
a quella vita di solitudini
a quella quiete che tanto cercai
giaciglio alla mente e allo stanco corpo
dopo la fatica del giorno

nel silenzio della mia assenza
resistono al feroci venti i muri
che proteggono la casa
che la nobile madre mi donò

solo il vento salino
le aurore e i tramonti
e gli uccelli marini
le fanno compagnia
e sempre giunge loro la voce del mio cuore lontano
il respiro dell’anima mia

Restano in umana attesa di ogni mio ritorno
i libri della poesia
e le foto ingiallite
di chi mi donò la vita e la memoria
i quaderni impazienti dei versi di lotta
gli indumenti consunti
e il letto lasciato disfatto
le pentole di famiglia
e i vecchi piatti di una nave
le cose inutili degli straqui
i lari domestici

e poi gli alberi e le erbe
la vigna e il terreno da seminare
la vita del vino
le lucertole a me care
tra i muri a secco
i falchi e il passero solitario tra i dirupi rocciosi
i cani e gli asini fedeli

questa casa
è il rifugio di un uomo
che molte volte naufragò
e nulla sapeva di quello che gli sarebbe accaduto
ebbe molti dei a proteggerlo
così come la preghiera della madre
e del padre le veglie inquiete

in questo luogo
dove sempre
torno a vivere senza tempo
affondano le mie radici nella dura pietra
così le radici della madre
e quelle della madre della madre

qui nascosi la rotta
affinché nessuno portasse via la pace e la poesia
la bellezza e il mistero
e i discorsi belli
qui lasciai il mio nome perché non ha nome lo straniero

di tutto quanto
della stirpe mia
porto la memoria
e degli antichi
la saggezza del mare

solo al cieco cantore
e a quella follia che in me resiste e domina
è dovuto sapere
dov’è la casa
dove si nasconde il cuore

alle Muse
chiesi la grazia del verso
ai poeti l’amore
ai fedeli cani
il calore nelle notti di gelo

tra quei muri
come un fasciame di bastimento imprecante
nella tempesta
fu il mio destino
qui gli dei si lasciarono restare
per vivere umani con me
insieme a guardare le stelle.

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L’isola di Mariano vive

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Intervista A Sua Immagine

Puntata del 13 luglio 2024

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Ponza d’autore 2024

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Maria Picicco un’Antigone mediterranea

dal libro L’isola di Mariano di Antonio De Luca, La valle del tempo editore

Il mito è il passato, il presente e il futuro. Il mito è il tutto. Il mito è gli accadimenti di sempre, dove il divino e l’umano si intrecciano nella storia dell’uomo e ne determinano il destino.
Il teatro greco antico è la rappresentazione perfetta della vita dell’uomo e del suo destino.
Esso è dramma e amore, maledizione e dissoluzione, la vergogna e l’estrema solitudine.
Il teatro che meglio esprime la fallibilità umana e la corrosione di sé stessi, il coraggio e
l’impotenza dell’uomo, il destino contro cui spesso non si può lottare, ma allo stesso tempo esiste il bisogno di sperare per non morire.
Maria Picicco, la madre dei perseguitati politici durante l’era fascista a Ponza, colei che li protegge, li nascondeva, gli dava protezione, colei che seguiva la sola legge dell’umanità, la legge primordiale, la sento e la vedo come Antigone, l’opera stessa, la tragedia di Sofocle del 400 a. C. circa.
Antigone è l’eroina che lotta contro la legge ingiusta degli uomini in favore della legge degli dei, la legge dell’umanità che è presente nell’uomo fin dalla sua nascita.
Alla morte di Antigone condannata dalla legge degli uomini, come predetto dall’indovino cieco Tiresia, la città di Tebe sarà distrutta dagli eventi incontrollabili alla mente umana, al cuore degli uomini.
Una società idiota e cieca, come quella che in cui viviamo, votata alla sua sola riproduzione ripetitiva, al funzionamento del dominio e dell’arricchimento sprezzante. Ponza come Tebe, la sua società andrà inesorabilmente all’annientamento? Così Maria Picicco grida dalla sua memoria: la fallibilità di isolani e isolati è sempre presente, e l’abbandono della condivisione degli dei, e dei sentimenti e delle virtù della saggezza, a favore del dio del potere e del denaro, un dio stratega di dissoluzione e di comunità, di guerra tra gli uomini senza virtù, portatore di dolori e di fine.
Antonio De Luca

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Nuovo teatro ponzese, una speranza per la comunità.


A voi la mia gratitudine.

Nell’assistere alla bella rappresentazione teatrale della Nuova compagnia del teatro ponzese, su un opera di Eduardo De Filippo, la prima impressione che ho avuto, immediata e terribile, è stato il ritorno a un Mito dell’antica Grecia, culla della nostra civiltà.
Ho sentito, come un fulmine penetrante la presenza dello spirito Elpis. Elpis nel Mito greco è la personificazione della speranza. Elpis è il nome che i greci davano alla speranza che deve salvare l’uomo. Ne parlava Esiodo nella sua opera Le opere e i giorni. Si, la speranza. Questo nobile sentimento. Così importante nel divenire dell’uomo e della sua coscienza cognitiva.

Questi ragazzi del Nuovo teatro ponzese, come già in altre occasioni negli anni precedenti, ci riempiono di emozioni e tengono accesa nel nostro spirito comunitario isolano, già martoriato da anni di incuria su ogni fronte, una speranza. La speranza di un qualcosa di migliore, di bello, un futuro su cui credere. Il linguaggio dell’opera eduardiana riporta Ponza alla sua lingua originale, alla sua identità primitiva, a quella identità campana. E questo ci deve gratificare molto, oggi che il gergo dominante è lo scimmiottamento di quel romanesco importato dal peggior turismo.

Ponza deve utilizzare la sua lingua originale, se vuole conservare la sua identità.
E per questo anche che il teatro ha una sua massima funzione. Non posso non pensare riguardo alla speranza, a quella bellissima poesia L’invincibile estate di Albert Camus, dove è la speranza a poter salvare l’uomo dall’odio facendo trionfare l’amore. La speranza come inno alla vita, alla conoscenza, all’amore. Avrà questa comunità ponzese la speranza di salvarsi dalla frantumazione di questo sistema, da questa barbaria dilagante, mi chiedo.
Questi bravi ragazzi esaltano la grandezza di De Filippo nell’oscurità attuale di questi anni, dando una speranza all’isola, ai suoi abitanti, facendosi loro stessi portatori di questo sublime sentimento. Sin dall’antichità il teatro è stato scuola importantissima in qualsiasi civiltà. Pensiamo alla Grecia antica, dove andare a teatro era la più grande forma di educazione e d’istruzione. Andare a teatro nell’antica Grecia era come un rito religioso, un sistema educativo aperto a tutti i cittadini senza differenza di classe, tanto che era lo Stato a pagare il biglietto.

Ponza ha bisogno più che mai di un teatro che educhi, che faccia riflettere e avvicini le persone alla loro identità che lentamente si sta perdendo. Il mio augurio è che questi bravi ragazzi-adulti in futuro possano affrontare anche altri autori teatrali, affinché tutti ci possiamo riconoscere in una cultura e un’identità mediterranea, che mette l’uomo e il suo destino al centro di tutti gli interessi. L’opera e l’impegno teatrale del Nuovo teatro ponzese è degno di andare avanti e di conservarsi nella sua opera educatrice e conoscitiva.
Ponza deve essere fiera di questa sua piccola gloria, ma grande nell’impegno e nel pensiero.
A voi del nuovo teatro ponzese la mia gratitudine.

Antonio De Luca

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Il senso delle cose

Tra le pietre dei muri a secco
tra i muri di calce della casa
nei pressi di un’alta scogliera
attendo la notte
e il vasto cielo stellato
e poi l’aurora
e il sole di mezzogiorno
il suono dell’ora
la voce della controra
attendo
le voci delle Muse olimpie
le figlie di Zeus

il mare ondoso sento che frange agli scogli
porta il racconto di colui che ritorna
il naufragio e le grandi speranze

tutto questo mondo
la meraviglia e il suo tempo
il senso dell’esistere
sento il principio di tutte le cose.

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